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Costume e SocietàLetteratura

Il Ladro

I racconti della buonanotte XII

Di Bruno Siciliano

⚠️ ATTENZIONE!
Da questa sera la nostra rubrica è anche un podcast!
Scorri in fondo all’articolo per ascoltare il racconto che segue letto dalla viva voce di Bruno Siciliano!

Il racconto che segue è destinato a un pubblico adulto.

Mario era un ladro da due soldi. È vero, si dice da quattro soldi, ma lui non valeva tanto.
Rubava per vivere, faceva dei furtarelli in qualche appartamento ma, spesso, succedeva che lo prendevano, si faceva i suoi soliti tre/quattro mesi di galera e poi usciva per ricominciare.
Quella volta, però, aveva studiato il piano nei minimi particolari. Una grande villa disabitata da alcuni giorni perché i padroni, discendenti dei Conti Aldobrandi di Romagna, erano in vacanza nella loro tenuta sul Terminillo. La servitù era al loro seguito, per cui la villa in Città era rimasta deserta e controllata solo da un impianto di sorveglianza vecchio come il cucco. Era notte fonda e Mario, vestito con la sua tuta da ginnastica nera e con in testa un passamontagna dello stesso colore era pronto a scavalcare la grande cancellata che dava accesso al grande parco della Villa. Aiutato dalla sua torcia elettrica con le batterie nuove in mano, cominciò a mettere in pratica quello che aveva imparato da poco nell’ultimo soggiorno nelle patrie galere e disattivò con facilità il vetusto impianto di allarme. Si accostò, dunque, a una finestra del primo piano e, con un martello avvolto in uno straccio, ruppe un vetro; con facilità aprì l’infisso ed entrò nel grande salone al piano terra della villa Aldobrandi. Sostò un poco a contemplare la ricchezza degli stucchi che abbellivano l’ambiente, dunque si diresse verso la grande scalinata che l’avrebbe portato alle stanze superiori.
Percorse il lungo corridoio ed entrò in una stanza a caso. Era proprio l’appartamento padronale, bellissimo, molto grande e interamente arredato in stile settecentesco con la testiera del letto in ferro battuto e finemente lavorata e poi i trumeau e gli armadi monumentali e le tende di broccato ai grandi balconi delle stanze che Mario apriva una dopo l’altra; il bagno, lo studio, ogni cosa diventava per lui meraviglia e ansia, ma non poteva, certo, lasciarsi andare a contemplare tutte quelle bellezze, era lì per lavorare e non per ammirare le opere d’arte.
Proprio nella grande stanza da letto aprì, dunque, la ribaltina di un antico scrittoio e la sua attenzione fu attirata da una scatola in noce intarsiato con del legno più chiaro. Al centro del coperchio un pentacolo che si intrecciava con un serpente alato: il cofanetto aveva la serratura e le cerniere in oro, era chiuso a chiave ma lui usò il suo grimaldello e con facilità riuscì a schiuderlo. Fu un attimo, un lampo accecante di luce e le porte della stanza si aprirono e da esse entrarono uomini e donne sorridenti in abiti discinti, una di esse, una bellissima donna bruna che indossava solo un minuscolo gonnellino in satin si avvicinò all’intruso, gli cinse le spalle e gli stampò un lunghissimo bacio sulle labbra.
I nuovi venuti, intanto, sembrava danzassero sulle note di una musica inesistente. C’era chi si abbracciava, chi si baciava e chi iniziò subito a fare l’amore sul grande letto patronale o sul divano, sulle poltrone o addirittura contro lo stipite della porta. Tutti avevano un sorriso radioso stampato in faccia e tutti emanavano felicità e gioia.
Altre due splendide ragazze sorridenti presero quasi di peso Mario e lo portarono in un altra stanza, sopra un letto matrimoniale. Immediatamente il ladro diventò l’oggetto delle attenzioni amorose di quelle bellissime ragazze nude e, senza neanche accorgersi, anche lui si trovò nudo tra le loro mani, preda delle carezze di quelle splendide ninfe.
Una di esse si avvicinò con la bocca alle sue labbra scambiando con lui un bacio profondo, nel quale la lingua di lei la fece da padrona e poi, con la bocca, mordicchiò e aspirò la sua lingua fino a mandarlo in estasi. Un’altra, invece, si occupò dei suo capezzoli e del sesso che accarezzava sapientemente; una terza del resto del corpo e una quarta si avvicinò per farsi toccare e baciare e accarezzare lascivamente anch’essa.
Il ladro non aveva mai provato quella sensazione così terribilmente meravigliosa.
Mario era entrato in quella villa per rubacchiare qualche candeliere e adesso, invece, si trovava nell’estasi amorosa più intensa che avesse mai provato. Certe cose, pensava avvengono solo nei sogni, se hai il coraggio di sognarle.
Sbirciò sugli altri divani e sui letti dove c’erano altre coppie, altre donne e altri uomini che facevano l’amore nel modo più intenso e sfrenato possibile.
Poi vide che una delle donne aveva la bocca piena di sangue mentre uno di quegli uomini aveva staccato a morsi a un’altra un intero capezzolo così, ridendo, mentre l’altra, senza alcun urlo, continuava a fare l’amore con una splendida rossa. Mario, con orrore, vide che gli occhi della ragazza che lo stava baciando erano iniettati di sangue e cercò di divincolarsi ma un’altra, la biondona che si stava occupando del suo petto, lo ricacciò sul letto con violenza. La ragazza continuava a baciarlo e, d’un tratto, con i suo forti denti, gli strappò lembi di guancia. Mario cacciò un urlo potentissimo che tutti ignorarono e del quale, anzi, alcuni risero orrendamente. Un’altra gli strappò a morsi un pezzo di carne dal braccio e un’altra ancora si dedicò alle sue gambe da cui strappava ulteriori brandelli di carne. Mario sperava di svenire, ma le donne si sforzavano di tenerlo sveglio più che era possibile. Il dolore era indicibile ed esse andavano avanti ancora. Altra carne fu strappata a morsi dal suo corpo mentre il dolore diventava insopportabile. Non credeva potesse esistere una tortura così terribile. Poi, finalmente, un uomo vestito solo con un lungo mantello nero bordato di rosso gli conficcò nel cuore un paletto di legno ornato di piume e foglie d’oro. Egli spirò così, tra mille spasimi, sperando che la morte pietosa lo avesse liberato da tanto supplizio.
Invece si ritrovò a continuare a vivere.
Era diventato come loro, uno zombie che non sentiva più alcun dolore ma era adesso sottomesso a quelle donne per l’eternità. La maledizione del serpente alato si era abbattuta anche su di lui. Quel demone era l’unione tra cielo e terra, il demone più umile ma più potente che esista, capace di tenere in vita i morti che in quella villa vivevano tra lascivia e sottomissione. Il Conte Aldobrandi, dedito da una vita all’esoterismo più sfrenato, era riuscito a racchiudere in quel cofanetto quella terribile maledizione, ma i grimaldelli di Mario erano riusciti ad aprirlo e a rinnovarla.
Non era più nemmeno un ladro da due soldi, era diventato uno zombie per l’eternità: avrebbe abitato quella villa per sempre, avrebbe goduto della vista degli stucchi e dei quadri preziosissimi ma sarebbe stato uno schiavo alla mercé di quelle bellezze affamate di carne e di sesso. La sua carne si sarebbe rigenerata incessantemente per essere poi strappata via in un’alternanza che non avrebbe avuto mai fine.

Foto: luccaindiretta.it

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Redazione

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