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Costume e Società

Corrado Alvaro e quelle lettere impastate d’amore

Di Agata Mazzitelli

Viveva nel Palazzo Barletta, Don Massimo Alvaro, parroco del piccolo comune di Caraffa del Bianco.
Corrado, il fratello scrittore, nell’Ultimo diario, richiama quella dimora del 1559, che ospitava parte della sua famiglia e di cui lo stesso intellettuale conservava piacevole ricordo.
Ricordo delle diverse visite in Calabria, per ritrovare l’anziana madre, che aveva lasciato San Luca, il paese natìo, quando nel 1941 era rimasta vedova.
A Caraffa del Bianco la donna sanluchese aveva trovato, ormai, i luoghi e le persone che le avrebbero fatto compagnia durante la vecchiaia.
Ma c’erano le visite di Corrado, delle sorelle, e le giornate erano scandite dai suoni delle campane, le celebrazioni del figlio e la vita famigliare e di paese.
Questo fino a quando non fu costretta a letto per il suo stato di salute, ma sempre amorevolmente accudita da Don Massimo.
Purtroppo, negli anni a seguire, arrivò il giorno in cui giunse la notizia che una grave malattia aveva colpito Corrado, segnandone così il tragico destino. Lo scrittore fu strappato ai suoi cari e alla vita.
Era Giugno, l’11 Giugno del 1956, quando l’attesa di una calda stagione divenne un freddo e gelido inverno.
L’anziana madre non fu messa al corrente del triste accadimento.
Don Massimo non avrebbe mai permesso che un cuore traboccante di buoni sentimenti e capace di scaldare l’esistenza di ogni figlio, provasse il lacerante dolore della morte di uno di essi.
Fu allora che pensò di celare la crudele notizia e le nascose la verità.
Un invisibile abbraccio cullava una donna per la quale il tempo, sì, passava, ma invece di invecchiarla la guardava diventare una bambina, fragile e con gli occhi densi e luccicosi.
Perché si può morire e continuare a vivere, tutto è legato a chi resta.
Con ogni probabilità fu questo il pensiero di un fratello, mentre scriveva.
Scriveva, il nostro parroco. Ne conservo l’immagine nella mente.
Allo scrittoio, in sagrestia, appuntava sempre qualcosa, e si trattava di qualcosa di importante, perché nella vita di un prete tutto deve essere importante.
Poteva trattarsi della data di un battesimo, di un matrimonio da celebrare o del triste giorno di un trigesimo, che la linea sottile tra la vita e la morte, scandita dall’inchiostro, trasformava il pastore di una comunità in un testimone e un custode degli eventi.
Le gocce d’inchiostro che raccontano, a volte, mentono, ma costruiscono un ponte tra l’esistere e il morire.
Possedeva una certa eleganza, Don Massimo, quando, con la penna in mano, prendeva appunti sulle nostre vite.
Chissà che spalle curve aveva, sotto il peso della tristezza, mentre stilava quelle lunghe lettere a firma di Corrado in cui diceva: “sto bene, madre… non temere.”
Una trincea, per addolcire gli ultimi anni all’angelo del focolare, e trattenere il pianto nel leggere quelle epistole d’amore.
Sì, perché agli occhi di una madre che l’aspetta, qualsiasi contenuto custodisca, quella ricevuta è sempre una lettera d’amore.
Si può morire e continuare a vivere.
L’imperfezione ci rende pezzi unici, tasselli preziosi e insostituibili, e diveniamo veri e imperfetti soprattutto quando amiamo, perché ognuno lo fa a modo suo.
E se immagino che ogni foglio iniziasse il viaggio con “carissima madre …”, amo pensare che in un’altra vita quel sentimento filiale e materno abbia disegnato suggestivi paesaggi di montagna e colline affacciate al mare, rendendoli affreschi sui muri della memoria e un inno alla tenerezza del nostro severo parroco.

Sotto Aspromonte
Tra le valli apriche
Di fronte al mare
Tra giardini e fiori
Come in un anfiteatro in case antiche
Veglia San Luca, terra di pastori…

Don Massimo Alvaro

Redazione

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5 Comments

  1. Don Massimo adorava il fratello maggiore… Perderlo è stato un brutto colpo… Anxhe per un sacerdote dalla fede ferrea!

  2. Ho avuto il privilegio di essere un caro amico di Totò Delfino e di commemorane la grande figura in qualche convegno a Platì.no sempre concordavamo su Alvaro, ma eli lo rendeva ancora più grande di quel che era. Sì vendicò quando presentando un mio libro, mi vietò di parlare. Gli sono stato vicino sino alla fine. Ma nonostante le esportazioni di Leila sua moglie, non volli vederlo nella bara. E ancora mi manca. E leggo spesso queste sue pagine che cantano la grandezza di grandi uomini. Grazie per il gentile pensiero che mi onora.

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