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Mimmo Lucano: «Girerò una serie Netflix e tornerò a fare il sindaco»

Dopo un silenzio durato diversi mesi, Mimmo Lucano torna a parlare in prima persona della propria vicenda giudiziaria e umana e lo fa attraverso le colonne del quotidiano La Stampa, sulla cui edizione odierna è apparso un reportage dal Villaggio Globale a firma di Niccolò Zaccan. Dall’articolo del collega veniamo a sapere che la vita quotidiana dell’ex sindaco di Riace non è cambiata dalla fatidica mattina del 30 settembre 2021, quando il presidente del Tribunale di Locri Fulvio Accurso ha condannato in primo grado Lucano a 13 anni e 2 mesi di reclusione.
«Se esiste Dio, ritornerò a fare il sindaco di questo paese. Il processo d’appello dovrebbe concludersi nel giro di un anno e mezzo. Fra due anni voglio ricandidarmi» afferma con il suo consueto ottimismo l’ideatore del Modello Riace, dalla sua stanza.
Nelle quattro colonne dell’articolo, Lucano non esita a puntare il dito contro un sistema, la cui paternità viene ricondotta all’ex Ministro dell’Interno Matteo Salvini, che ha fatto di tutto per cancellare ciò che lui, con grande fatica, era riuscito a costruire.
Il casus belli, viene ricordato, è la denuncia di un piccolo commerciante, a dire di Lucano vicino ad ambienti mafiosi, che viene presentata il 19 dicembre 2016 salvo poi, in sede processuale, essere ritrattata. A partire da quel momento, si legge nel pezzo di Zaccan, è stato gioco forza travisare le ragioni che, qualche mese prima, avevano condotto lo stesso Lucano a sollecitare un’ispezione a Riace e a ignorare che la relazione derivata da quel controllo aveva sottolineato la bontà del sistema di accoglienza. Il concomitante arrivo alla prefettura di Reggio Calabria di Michele Di Bari («persona di fiducia del potere» lo definisce Lucano, che non considera un caso il fatto che sia rimasto poi coinvolto in una brutta faccenda di caporalato) determina il precipitarsi degli eventi, con Accurso che, al culmine di un’indagine secondo Lucano ideata appositamente per distruggere il sistema, non può che condannarne il suo padre putativo.
L’unico errore che si imputa l’ex primo cittadino? Aver rilasciato delle carte d’identità false, ma solo «per non buttare in mezzo alla strada delle persone» e aver permesso che tutta questa faccenda determinasse la fuga dal paese della sua famiglia.
Ma Lucano, si legge ancora nell’articolo apparso su La Stampa, non ha intenzione di mollare e, per tale ragione, oltre a continuare a difendersi in sede processuale, sta già lavorando all’apertura di una sede di Radio Aut a Riace e supervisionando la ristrutturazione di una dimora storica all’interno della quale ospitare un museo. Sogna, inoltre, di comprarsi due case ed è in trattative con Netflix per girare una serie autobiografica che potrebbe andare a riempire il vuoto lasciato dalla fiction con Beppe Fiorello mai trasmessa dalla Rai.

Redazione

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