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L’amica geniale: Storia di come (non) è cambiata l’Italia

Opinioni Seriali

In questi giorni sta andando in onda la nuova stagione de L’amica geniale, tratta dal terzo libro dell’omonima quadrilogia scritta da Elena Ferrante, ovvero Storia di chi fugge e di chi resta.
Sia il romanzo sia la serie hanno avuto un enorme successo per molteplici motivi, tra cui l’utilizzo di archetipi per le figure principali. Costruendo dei personaggi modello, infatti, proprio tutti riescono a rispecchiarsi almeno in parte nei protagonisti. Sia nel bene sia nel male.
Questa stagione è ambientata negli anni ’70, periodo in cui la protagonista Elena Greco, detta Lenuccia, sposa finalmente Pietro Airota, figlio di un noto professore universitario. Raffaella Cerullo, detta Lila, è invece, riuscita dolorosamente a liberarsi dalle violenze dell’ex marito Stefano Carracci, va a lavorare in fabbrica, ma anche l’ambiente di lavoro le è ostile e si ritrova a doversi difendere una volta di più da umiliazioni e molestie, stavolta per mano di superiori e lavoratori come lei. È stanca, stravolta dalla vita che le si accanisce contro e, forse, proprio per questo si concede delle debolezze.
Ad esempio, decide di presentare il figlio Gennaro al padre, regalandoci una scena dolorosamente memorabile.

«Ciao papà, qui ci sta Gennarino.»
«Uei, Gennari’. Quando vedi a tua madre… dincill che è ‘na zoccola!»

«Non ti preoccupare, il nonno stava giocando» affermerà Lila nel tentativo estremo di proteggere suo figlio dalla violenza del Rione.

Eppure, nemmeno Lenuccia viene risparmiata dall’ostilità dei maschi: credeva che, andandosene lontano, laureandosi, emancipandosi e sposandosi con un uomo per bene si sarebbe salvata. Ma alla fine non è così.
Inoltre, anche la maternità è subita e non sempre desiderata.
L’esempio palese viene ancora una volta dalla sfacciata Lila, che abortisce ripetutamente e afferma di non volere un corpo estraneo dentro di sé. Con la consapevolezza di oggi diremmo che era solo una bambina che giocava a fare l’adulta e che, forse, il suo grembo semplicemente non era pronto. Eppure, se ci soffermiamo a riflettere, ci rendiamo conto che, oltre la superficie delle cose, c’è di più: Lila psicologicamente rifiuta la maternità, ne è spaventata, non vuole farsi contenitore dell’ignoto e ne ha tutto il diritto.
Elena non comprende, giudica inizialmente l’amica e, quando tocca a lei, crede che le sensazioni provocate dalla gravidanza siano magiche. Tuttavia, l’incanto svanisce in fretta e anche dentro di lei si fanno strada sentimenti contrastanti. L’affetto per le figlie, ovviamente, non è in discussione, ma ciò non le impedisce di sentirsi sopraffatta, svuotata della sua creatività, ridotta a serva.
La scena in cui discute dei metodi contraccettivi assieme al marito, ad esempio, ci restituisce uno squarcio di verità del tempo: Elena vuole prendere la pillola, ma a quei tempi veniva prescritta solo per i disturbi mestruali. Pietro, seppure uomo colto e moderno, si oppone e le ricorda che il matrimonio può essere considerato tale solo se vengono concepiti dei figli.
L’amica geniale riporta quindi una narrazione fedele dell’Italia di cinquant’anni fa.
Ma oggi come sono cambiate le cose?
La società contemporanea si è davvero evoluta in tal senso? Le scene viste in televisione sono realmente lontane da noi? Oppure è proprio la verosimiglianza al mondo moderno che ci tiene incollati allo schermo?
La serie, come ben sappiamo, ha riscosso un successo planetario che non si può addebitare soltanto alla matrice storica. Non stiamo assistendo semplicemente a un racconto di ciò che è stato ma, al contrario, siamo di fronte a sentimenti e sensazioni aderenti alla realtà del nostro presente.
L’amica geniale ha destato anche alcune polemiche e, sui social, qualcuno si è lamentato delle scene troppo forti, soprattutto per la prima serata, fascia oraria in cui anche ragazzini e adolescenti guardano la televisione.
Lamentele legittime, per carità. Ma la soluzione è proprio sotto il naso: se vi fa paura che i vostri figli assistano alla descrizione dettagliata degli orrori moderni, metteteli a letto.
Sì, avete capito bene: mettiamoli a letto, i ragazzi di oggi.
Mettiamo a dormire uomini e donne del futuro. Rassicuriamoli e raccontiamo loro la fiaba di una società civile in cui ognuno è libero di scegliere per il proprio corpo, in cui le donne non esistono solo in quanto mogli e madri, in cui la società di oggi non sia la copia carbone di mezzo secolo fa.
Lasciamo che si addormentino, lasciamo assopire le loro coscienze e noi, nel frattempo, voltiamo la testa dall’altra parte.
Non è forse così che hanno fatto i nostri genitori e i nostri nonni e che continuiamo a fare anche noi?

Foto di copertina: rai.it


Edil Merici

Anastasia Cicciarello

Nata a Locri nel 1990, membro effettivo della Millennials Generation, ha iniziato a scrivere prima sui muri con i pastelli, poi a scuola, dove ha incanalato la sua passione e non si è più fermata. Le piace viaggiare ma adora allo stesso modo la strada del ritorno, la bellezza dolorosa e fragile della sua terra. Abita ad Ardore, la cui posizione invidiabile le fa iniziare ogni giornata con l’ottimismo di chi si ritrova la salsedine tra i capelli tutto l’anno. Il bisogno di dire la sua l’ha condotta alla finale del concorso AttiveMenti con il racconto “La necessità del superfluo”, a scrivere “Il dolore non mi fa più paura” per la casa editrice Guthenberg e a collaborare con varie testate come hermesmagazine.it

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