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Costume e Società

I “muletteri” d’Aspromonte

Di Mimmo Catanzariti

L’avvento dei mezzi di trasporto moderni e la rete viaria, diventata sempre più capillare anche sul territorio dei paesi interni, hanno causato la scomparsa, ormai da decenni, di una delle figure più caratteristiche e popolari della tradizione del sud Italia: u muletteri. I proprietari terrieri non avevano silos o cisterne nei poderi, dove stipare i frutti delle loro terre, ma tutto il prodotto dei loro possedimenti, biade, vini, olio, e quanto rendeva ad essi l’agricoltura e la pastorizia, veniva trasportato nei centri abitati in cui, spesso, i locali a pianterreno delle case (i bassi) erano addetti all’uso di magazzini. Di solito i proprietari erano padroni di uno o più muli, quindi di più muletteri, i quali erano a totale carico del padrone; queste condizioni potevano variare di poco secondo le usanze dei paesi, ma era un mestiere che almeno garantiva un lavoro, anche se poco pagato, e il vitto giornaliero per tutto l’anno. Il mulo è un animale derivato dall’accoppiamento tra un asino e una cavalla; il maschio che nasce da questa unione è sempre sterile a causa dei cromosomi diversi dagli altri equini. Di costituzione forte e robusta, era preferito per la resistenza alle fatiche, per l’adattabilità ai percorsi impervi delle montagne, per la scarsa cura che richiedeva e, contrariamente a quanto si crede, per l’intelligenza superiore a quella del cavallo. Le dimensioni del mulo variano dagli incroci a cui vengono sottoposti, per creare una razza di muli sempre più forti come gli asini e veloci come i cavalli; i più ricercati e costosi erano i muli pugliesi, impiegati anche nelle ultime guerre mondiali proprio per le loro caratteristiche, e assegnati sempre a soldati calabresi, sardi e siciliani che del temperamento dei muli si diceva avessero molto in comune. Il mulattiere aveva per il mulo molta cura, dato che rappresentava, spesso, l’unica fonte di sostentamento per il nucleo famigliare; l’imbottitura di paglia era adeguatamente curata anche per evitare le piaghe che il carico provocava, il pelo era strigliato e ripulito quasi ogni giorno, la criniera veniva tagliata corta, e gli zoccoli erano sempre ben ferrati e in ordine. Il danno peggiore avveniva quando un mulo si azzoppava, o si feriva con il basto: le piaghe venivano curate con un impiastro di olio bollito e mescolato con cenere di paglia di avena bruciata, per cicatrizzare la ferita e tenere lontano l’infezione causata dalle mosche. I finimenti erano mantenuti efficienti, le parti in cuoio della cavezza e delle corde per il carico venivano trattate con grasso animale per rendere morbida la pelle. I muletteri rispecchiavano il vecchio detto che dice che   l’uomo si conforma alla vit  che fa e al mestiere che svolge; erano come l’asino e il mulo, forzuti, cocciuti, e a volte poco gestibili. Erano spesso di liberi costumi, di sfrontatezza, e audacia incredibile, come testimoniavano i canti popolari che si sentivano nei vari paesi della Calabria. Viaggiando da paese a paese acquisivano nuove esperienze, importavano canzoni, proverbi, consuetudini e, purtroppo, anche malattie sconosciute.


Edil Merici

Dai vari punti di produzione delle materie da trasportare, dai frantoi, dai palmenti, dagli ovili e dalle case rurali, dai boschi e dalle carbonaie, il mulattiere caricava il sale, il vino, l’olio, la farina, i formaggi, la legna e i carboni. Per essere adibiti ai diversi tipi di trasporti l’asino e il mulo venivano bardati con finimenti diversi, così come diversi erano i contenitori che venivano legati al basto.
I più comuni erano:

  • i fiscini, dal latino fiscus, due grossi cesti di vimini a forma di parallelepipedo che avevano nella parte superiore un foro rettangolare per il passaggio dei carricaturi, ovvero le corde con le quali venivano assicurati al basto e servivano per trasportare ortaggi e frutta;
  • le casce, contenitori di legno con la parte inferiore mobile ruotante su due cerniere che permettevano l’apertura per scaricare i materiali trasportati senza scaricare la cavalcatura. Erano utilizzate soprattutto per il trasporto della sabbia, della ghiaia o della calce prodotta spesso nei dintorni dei paesi;
  • i ganci, attrezzi ricurvi di legno che si legavano al basto ed erano utilizzati per il trasporto delle pietre squadrate (cantunere) prodotte nelle cave, che venivano utilizzate per la costruzione delle case del paese fino alla metà del secolo scorso;
  • gli utri (otri), recipienti di pelle di capra e i bariji (barili), recipienti di legno a doghe, simili a piccole botti oblunghe, di circa 25 litri, che venivano usati per trasportare l’acqua, l’olio e il vino, e che venivano assicurati al basto per mezzo delle solite funi (carricaturi).

Seguendo stretti e ripidi percorsi, attraversando fiumare e valloni, valicando passi montani, il mulattiere, con il suo animale, arrivava praticamente dappertutto, scaricando un prodotto e caricandone al suo posto un altro, e non di rado per evitare di pagare i dazi sul grano o sull’olio, scantonava di sovente dalle mulattiere tradizionali e ne tracciava col suo mulo delle altre, per non imbattersi negli esattori o nei militi preposti al controllo delle strade. In effetti, quello del mulattiere, fu uno dei mestieri più duri e pericolosi che si potevano fare, eppure tra i più entusiasmanti per lo spirito di libertà e per le avventure che permetteva di vivere. Non era un mestiere per tutti, ma solo per quelli che avevano lo spirito e il coraggio necessario per mettersi in viaggio affrontando la testardaggine di un mulo, il freddo invernale e la calura estiva, i brutti incontri e la morte per un calcio improvviso o per la caduta in un burrone. I mulattieri passavano giorni, settimane a volte, sulla strada, dormendo spesso all’aperto in compagnia dei muli, delle volpi, delle civette e, qualche volta, anche dei lupi. Giorni passati in solitudine, con sforzi fisici al limite, con freddo, fame e sete, e con la mancanza di molte delle cose più elementari della vita quotidiana. Tutto questo durò fino all’inizio del secolo scorso, quando i camion e le vie ferrate sostituirono, fino a farlo scomparire del tutto ai nostri giorni, l’utilizzo del mulo e lo stile di vita dei mulattieri.

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