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Costume e Società

Massimo Pedullà e quel crudele “Cupido al contrario”


Edil Merici

Gioacchino Criaco, lo scrittore africese autore di Anime nere, durante una presentazione del suo romanzo Il saltozoppo, edito da Feltrinelli, ha dato a intendere che il peggior ne­mico della creatività è il sentirsi schiavi delle nostre stesse paure, delle nostre insicurezze.
E, soprattutto, ha dato a intendere che, in un ambiente come il nostro, la peggior cosa è il non riuscire a tro­vare il coraggio di alienarsi dalle chiacchiere e dall’isterismo popolare per correre dietro ai propri sogni. Certo, far da spartiacque tra i sogni e gli usi e costumi di questa nostra società è un privilegio di pochi, giac­ché in mezzo c’è tanta di quell’acqua da riempire l’universo tutto.
L’ennesima falla del sistema!
Una falla che, per taluni aspetti, ci conduce a essere, appunto, uno tra i popoli più infecondi del mondo. È questa una lama sottile come quella di un vecchio rasoio che taglia e ritaglia sul nascere e senza pietà alcuna i sogni di tutti di noi. Di cosa sto parlando? Ma di quel controsenso che porta il nostro potenziale alla ca­pitolazione. La più assurda delle convinzioni, in sostanza. Assurda quanto le basi che la reggono. Mi spiego.
Noi tutti sappiamo che, in passato, la saggezza popolare la faceva da pa­drona. E questa, amici cari, è storia. Una storia vecchia più del mondo. Una storia che si fonde con il pas­sato, che si perpetrava nel tempo fino a meno di un secolo fa. Quando nei paesi erano graditi i poeti, le farse, le scene teatrali, le canzonette.
Allora sì che c’era senso di rispetto per chi alla comunità (vuoi attraverso la satira o la poesia, vuoi per mezzo del poema epico, del teatro o della narrativa) portava splendore culturale.
Oggi, invece, la nostra barca sembra essersi arenata nel fugace, sterile mondo delle chiacchiere. E le calunnie e i dileggi nei confronti di chi (ora perché persegue un obiettivo, ora perché dà sfogo alle proprie vocazioni, ora per questo o per quell’altro motivo) sono all’ordine del giorno. Sto parlando di quel mec­canismo fantasma che si cela all’interno della nostra comunità. Quell’invisibile Cupido al contrario che, per una ragione o per l’altra – forse per rivalità o per rivalsa, per ri­picca o per rancore, per indecenza o per stupidità – s’impone arrogante e traditore per scompigliare i sogni di ognuno di noi.
Un Cupido che si manifesta per puro senso e volere popolare. E questo, sfortunatamente, come l’ha capito la maggior parte di noi, l’ha pure capito un cittadino che io, oggi, ho deciso (naturalmente con il suo consenso) di tirare in ballo. Massimo Pedullà. Egli, rimasto per gran parte del tempo intrappolato nel groviglio di fili che dà senso al buon nome dell’elettricità (perché è di questo che si occupa, di elettricità), quando non svolge il suo lavoro si diletta a scrivere o, piuttosto, a esternare quello che si porta dentro. Ma, a differenza di altri, riesce a calarsi nell’argo ­ memo con uno stile e un equilibrio unico. Impressionante.
È quasi utilizzando un suo colpo segreto che riesce a colorare il periodo con l’ironia e la reto­rica dell’artista che sta lavorando alla sua opera migliore, neanche fosse il padrone dell’attimo stesso.
Circostanze, paesaggi, luoghi, realtà oggettive, stati d’animo, elaborandosi dentro i recessi più remoti del suo inconscio, s’intersecano tra di essi riuscendo a mettere in moto una sorta di rivoluzione interiore.
li pensiero finito affiora alla luce con una tecnica che non può e non vuole astenersi – quasi si tratti di una man­canza di rispetto nei confronti di un principio idealistico – dal far affida­mento ora alla nostra cultura, ora ai nostri antenati greci, ora a una mas­sima di tal filosofo, ora a quel detto popolare, ora a un verso di Dante Alighieri, ora a una strofa di Giacomo Leopardi.
Ma, a dispetto di queste sue poten­zialità, nasconde una piccola pecca. Quella di non avere fiducia di ciò che fa o, meglio, di restare in qualche mi­sura terrorizzato da ciò che, nei mo­menti d’ispirazione, riesce a mettere nero su bianco, sull’agenda che si porta appresso.
Un condizionamento motivato dal ti­more di non essere compreso, di non essere capace, all’occorrenza, di spiegare il fulcro dei suoi concetti. Una realtà che s’identifica con la paura: la paura, cioè, di scatenare polemiche, di creare confusione, di rivoluzionare l’attuale senso delle cose.
Questo perché non accetta che la sto­ria concettuale dell’umanità sia in costante evoluzione, in continuo rin­novamento. Perciò scrive in silenzio, quasi di nascosto, come se stesse commettendo il più grave dei reati, tenendo per sé quello che, io credo, dovrebbe appartenere a tutti.
Questo fa. Salvo in rare occa­sioni, quando, ad esempio, essendo in confidenza con l’interlocutore, si la­scia andare.
È qui che nascono i suoi incantevoli paesaggi, i suoi panorami, i suoi con­cetti, la sua ironia pungente.
È qui che, tanto per fare un esempio, i ruderi di Precacore, staccandosi dalle pagine della sua agenda, pren­dono vita unitamente alle sue parole, e così i colli circostanti e la fiumara La Verde, e il monte Scapparrone, e poi ancora boschi, montagne, irti colli, vallate, colline in fiore, tra­ monti, albe, chiari di luna, notti stel­late, mari in bonaccia, giorni di pioggia, nottate di bufera…
Il tutto dentro l’universo tempestoso del suo animo. Ma questo, sfortunatamente, non accade molto spesso; non è un corpo che cerca di farsi strada nella vita, non cerca di imporsi alla società.
Perché, come detto, Massimo teme di non essere compreso, teme d’in­correre in quella parte di società (o, meglio, in quel famoso Cupido al contrario) che con la sua tagliente ipocrisia riesce a intrufolarsi dentro i sogni di ognuno di noi.
Ma la sua – quella di Massimo Pedullà – rimane pur sempre una messa in luce nel cupo deserto del nostro assurdo sistema.

Foto di Stefano Strati


“Birra”

Francesco Marrapodi

Francesco Marrapodi approda a Métis dopo aver ricoperto importanti ruoli in altre testate giornalistiche. 
È stato Redattore Capo per la provincia di Reggio Calabria de “L’Attualità”, collaborato con “Calabria Letteraria” e con “Alganews”, nonché con la testata giornalistica “In Aspromonte”. 
Ha studiato tecniche e metodi di scrittura del “Gotham Writers' Workshop”, è stato inserito nell’antologia “Ho conosciuto Gerico” in onore di Alda Merini con la poesia “La Nova” e fa parte dell’“Unione Poeti dialettali di Calabria”.
L’8 agosto del 2014 ha realizzato sulla spiaggia di Bianco una statua di sabbia raffigurante Papa Francesco, evento recensito da “Famiglia Cristiana” per il quale ha ricevuto il ringraziamento e la benedizione del Papa in persona. 
Si è reso inoltre promotore di una campagna contro l’inquinamento marino con “La morte di Poseidone”, statua di sabbia che ha suscitato grande interesse in tutto il mondo. 
Francesco è oggi un punto di riferimento redazionale su Bianco e dintorni, con un ruolo di primo piano nella Redazione Cultura.

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