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Attualità

La differenza di guadagno tra avvocate e avvocati

Pari opportunità e avvocatura: appunti di viaggio

Di Rocco Lombardo

La parità di genere e le pari opportunità sono supportate da un’ampia normativa succedutasi negli ultimi decenni e che fa dell’Italia uno dei Paesi più garantisti del mondo occidentale. Ciononostante la parità di genere non può dirsi realisticamente raggiunta ma, di contro, ancorché data per scontata, risulta invece costantemente sotto attacco e praticamente inattuata.
Il fenomeno della femminilizzazione della professione forense e il divario reddituale di genere, da anni ormai sono temi discussi e posti all’attenzione della politica forense nazionale e registriamo ancora una volta come le preoccupazioni dell’Avvocatura poggino su una solida base di dati di fatto. Infatti, se gli ultimi rapporti sulla professione forense in generale confermano il declino del ritorno economico di ciò che veniva (erroneamente) considerata una casta, la condizione delle Avvocate risulta marcatamente più difficile rispetto a quella dei colleghi maschi.
Per completare il quadro non possiamo non fare un cenno alla pandemia, che ha penalizzato trasversalmente tutti, abbassando in ugual modo i redditi di uomini e donne che esercitano la professione legale.
Alcuni dati ci vengono in soccorso per inquadrare meglio il fenomeno: nel 2020, tra gli iscritti a Cassa Forense, il numero delle donne aveva superato, per la prima volta, quello degli uomini. I primi dati del 2021 indicano una sostanziale parità numerica tra i generi. In generale possiamo tranquillamente affermare che la percentuale di donne è superiore o molto simile a quella dei colleghi uomini. Permane invece, purtroppo, il divario di genere: la componente femminile risulta oggettivamente svantaggiata in termini di guadagno e di accesso alle carriere direttive.
Il problema nasce da lontano e sorge fuori dai banchi di scuola; infatti, tra i laureati italiani, le donne sono la maggior parte, circa il 60%, con standard pre-universitari e di laurea migliori rispetto agli uomini. Le cose cambiano quando dagli studi si passa al mondo del lavoro, dove i dati testimoniano lo svantaggio femminile nel breve e nel medio periodo tanto in termini di inserimento nel mercato del lavoro che di valorizzazione professionale. A cinque anni dalla laurea e in presenza di figli, il divario di genere si caratterizza ancora di più: sono soprattutto gli uomini a svolgere incarichi e attività di livello direttivo e di elevata specializzazione.
Ecco quindi che anche la professione forense soffre del cosiddetto gender gap, ossia il divario di genere fra uomini e donne nel trattamento economico. L’entità della disparità, più o meno costante in tantissimi ambiti professionali, non risparmia proprio nessuno, men che meno l’Avvocatura, che attualmente vede la situazione retributiva attestarsi sin dai primi anni a differenze contenute e marginali ma che,nel corso della carriera, divengono sempre più nette.Il divario reddituale è un dato di fatto, anche perché diffuso in tutta Europa, ma particolarmente marcato nel nostro Paese soprattutto tra le libere professioni. Se a 30 anni, tra avvocate e avvocati il differenziale è minimo (i redditi dichiarati – dati 2021 – sono intorno ai 15 mila euro per gli uomini e a 12.500 per le donne) dai 35 anni in poi la differenza tende ad aumentare sensibilmente. Infatti, mentre una professionista di età compresa fra i 35 e i 39 anni guadagna in un anno circa 17 mila euro, il collega uomo supera, di media, i 30 mila. Va peggio poi nella fascia di età 55-59 anni, in cui una donna avvocato guadagna poco meno di 32 mila euro a fronte dei 70 mila euro del collega.
Le cause di ciò, ovviamente, sono diverse: in primis la difficoltà di conciliare attività professionale e vita famigliare, il cui carico ricade più frequentemente sulle donne. A ciò si aggiungano anche retaggi e stereotipi culturali che condizionano anche inconsapevolmente le scelte delle professioniste e le prospettive di successo nel lavoro.
Il fenomeno genera distorsioni che rischiano di mettere in crisi anche il sistema previdenziale delle Casse private, anche alla luce della mancata previsione politico-programmatica della cosiddetta femminilizzazione della professione intesa appunto quale processo sociale di medio-lungo periodo che continuerà a portare le donne a una sempre maggiore partecipazione anche grazie a un sostenuto accesso alla formazione universitaria e al conseguimento della laurea.
In proposito, con riguardo a tutta l’Avvocatura, si registra già a partire dal 2005 un’inequivocabile tendenza declinante, certamente dovuta all’allargamento della base degli avvocati iscritti. Il periodo che va dal 2012 al 2017, in corrispondenza degli anni di recessione più dura per il nostro Paese, è stato quello di maggiore sofferenza sopportato dalla categoria. Emblematico, a tal proposito, come nell’anno della pandemia il reddito medio annuo di un avvocato iscritto alla Cassa abbia subito una riduzione di circa sei punti percentuali, con picchi decisamente maggiori al Sud.
Ecco quindi che marcate differenze si accentuano a livello territoriale: in generale i dati rilevano come nelle regioni del Nord il divario, pur marcato fra generi, corrisponde a un livello reddituale maggiore, per cui la media dei redditi dichiarati da un’avvocata del Nord supera la media dei redditi di un avvocato del Sud, mentre la distribuzione per area geografica evidenzia il peso della componente meridionale sul totale degli iscritti: circa un terzo degli avvocati risiede al Nord, contro il 43,8% degli avvocati presenti nel Mezzogiorno e il 22,5% nelle regioni centrali.
Ma mentre la meridionalizzazione della professione sembrerebbe avere un carattere prevalentemente maschile, all’opposto, il fenomeno della femminilizzazione della professione appare più marcatamente di origine centrosettentrionale.In questa situazione di generale difficoltà la condizione delle Avvocate appare decisamente più critica rispetto a quella dei colleghi uomini. Il reddito medio delle donne avvocato è più basso rispetto a quello dell’insieme degli iscritti, e a ciò si aggiunga che in tutte le fasce d’età si rinviene un reddito femminile che è meno della metà rispetto a quello degli avvocati uomini.
La situazione all’interno dell’Avvocatura è comunque speculare rispetto a quella delle altre libere professioni. Sarà necessario pertanto, in futuro, individuare e adottare misure pratiche per attenuare le difficoltà. Sul piano legislativo, ad esempio, è stata da più parti evidenziata l’importanza di norme come quella che possa consentire alle avvocate per gravidanza, maternità, adozione o affidamento, di avvalersi del legittimo impedimento a presenziare alle udienze.
Sul versante previdenziale e assistenziale, la linea di intervento principale deve riguardare il tema della maternità/genitorialità: proprio in quella fase, come i dati ci indicano, si amplia la forbice reddituale tra uomini e donne. Misure dedicate possono aiutare a ridurre il divario.
Altro e conclusivo tema è costituito dai processi di governance della categoria, con una parità rappresentativa molto lontana dall’essere raggiunta, nonostante gli importanti passi in avanti degli ultimi anni.
Il superamento del divario di genere richiede anche e soprattutto l’abbattimento degli ostacoli culturali e sociali che limitano le pari opportunità tra donne e uomini. Per questa ragione promuovere occasioni di riflessione diventa fondamentale: i Comitati Pari Opportunità, alla vigilia dell’Assemblea Generale dell’Avvocatura prevista in occasione del prossimo Congresso Nazionale a Lecce, sono al lavoro per riempire il vuoto del divario di genere, un vuoto che limita non soltanto la realizzazione professionale delle colleghe ma quella di tutta l’Avvocatura. Consapevoli delle tantissime cose da fare.


Varacalli

Redazione

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