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Costume e SocietàLetteratura

La notte delle sorprese

Наталина - Solo due mesi d’amore


Edil Merici

Di Bruno Siciliano

⚠️ ATTENZIONE!
Scorri in fondo all’articolo per ascoltare questo capitolo del romanzo letto dalla viva voce di Bruno Siciliano!

L’avevo denudata e l’avevo messa nel mio letto, perdeva sangue da tutte le parti e mo’ aveva pure la febbre. Presi i vestiti che le avevo tolto e li misi in un sacco nero della spazzatura. “Questa roba non ti serve più sicuramente, chissà se hai della roba di ricambio, nella sacca.”
Cercai la bag, come la chiamava lei. Eccola, l’avevo fatta cadere accanto alla porta d’ingresso. Una sacca nera da ginnastica con la scritta Puma mezza scrostata.
La presi e la portai nella stanza da letto.
La aprii.
Quella era la notte delle sorprese. Non c’erano vestiti, né scarpe o indumenti di ricambio ma mazzette di euro, e tante. Richiusi la sacca, la portai in cucina e misi in bell’ordine una dopo l’altro le mazzette.
Ero uno schifo a scuola ma una somma la so fare e non ci volle neanche molto per sommare tutti quei soldi, ed erano 550.320 euro!
“Ma che cazzo hai fatto?”
Un brivido scorse lungo tutta la mia schiena, credevo che la vista di tutti quei soldi mi avrebbe riempito di gioia, ma non era stato così. Sapevo che tutti quei soldi non potevano essere di Natalina e i proiettili che avevano attinto il suo corpo ne erano la prova più lampante.
Erano le tre e mezzo del mattino, non avevo dormito per niente ma non avevo ormai più sonno. Andai a vedere come stava la mia piccola ferita. Era sudata e la febbre stava scendendo, le cambiai le bende umide sulla fronte. Minuta sì, ma con un fisico evidentemente molto forte e una voglia di vivere non indifferente. Forse per la prima volta la guardai veramente con considerazione. Era molto bella, i capelli castano chiaro a caschetto e un paio d’occhi leggermente a mandorla ma grandi, che quando si spalancavano ti ci perdevi dentro.
Si lamentava flebilmente, sommessamente, teneramente.
Tornai in cucina, mi feci un caffè, doppio, che sorseggiai lentamente, poi accesi la TV, piccola e dispettosa, che miracolosamente decise di funzionare a dovere. Appresi che la situazione finanziaria in Italia non era florida e che non ho capito bene quale attore aveva cornificato non so chi e che lei lo aveva lasciato chiedendogli una cifra astronomica in risarcimento, ma la notizia della rapina alla banca agricola della città attirò la mia attenzione più di ogni altra cosa.
I due giovani rapinatori erano stati fortunati e, inconsapevolmente, avevano indovinato il momento in cui c’era stato uno scambio di danaro tra le casse e avevano portato via oltre 500mila euro.
La scialba ma elegantissima giornalista locale spiegava che il danaro era stato portato via dal rapinatore più basso, mentre l’altro era stato colpito a morte nella sparatoria che ne era seguita, perché una guardia giurata aveva aperto il fuoco. Il rapinatore ferito era riuscito a dileguarsi con il bottino. Per questo erano state allertate tutte le farmacie e gli ospedali con l’ordine di segnalare tempestivamente alla polizia o ai carabinieri qualunque ferito sospetto. Seguirono le notizie sportive e io spensi la TV e ritornai da Natalina, cui era tornata la febbre alta.
Le prime ore del mattino avevano sorpreso in una disordinata camera da letto una ragazzina febbricitante e ferita e un giovane fotografo addormentato su di una vecchia poltrona, comprata di seconda mano al mercatino delle pulci, vicino alla Fiera.
Mi avvicinai alla finestra e guardai fuori, lontano. Non pioveva più.
“Vos et ipsam Civitatem Benedicimus.”
La scritta sulla base della Madonnina della lettera mi colpì rassicurante. I primi raggi di un freddo sole primaverile coloravano di rosso intenso l’antica statua e la luce del mattino sembrava ammantare, col suo inquietante colore, il mare, il porto e la città davanti a me che si andava, intanto, risvegliando. Avevo trovato quel buco di appartamento in Via Vittorio Emanuele grazie a un collega del giornale, ma di tutto quel locale avevo apprezzato sempre solo una cosa: la veduta sull’attracco della Caronte e la Madonnina.
Non sono un credente, ma questo non c’entra con l’affetto che provo con la Madonnina del porto.
All’inizio l’appartamento mi era sembrato così grande, ma da quella notte era diventato improvvisamente minuscolo.
“Questa mi muore” avevo pensato risvegliandomi dal torpore, così mi preparai un altro caffè, mi sciacquai velocemente la faccia, m’infilai il giubbino ancora fradicio di pioggia e uscii.
Mi misi in macchina, buttai un plaid sulla macchia di sangue del sedile posteriore e mi avviai verso Ganzirri dove, ne ero sicuro, avrei trovato una farmacia notturna aperta.
Avete mai visto Messina dopo una nottata di pioggia?
È bellissima, profuma quasi. Non si sente la puzza della nafta delle barche o gli afrori marini, ma profuma di pioggia e di cose buone. I colori sono vividi e le statue del corso sembrano rivivere attraverso il parabrezza disseminato di gocce di pioggia per venirti incontro. I bar del viale spandevano tutt’intorno il profumo delle brioches appena sfornate e dei caffè che servivano ai primi avventori che si apprestavano ad andare al lavoro. Voci di gente che si augura il buongiorno, rumori di macchine che ripartono al verde dei semafori. Un ragazzino fischiava una canzonaccia, ma il mio semaforo era ancora rosso. Eccola una farmacia notturna ancora aperta. Scesi dalla macchina che parcheggiai a casaccio accanto al marciapiedi. La farmacista, una donna appena sessantenne con gli occhi gonfi e arrossati per la nottata passata in bianco, aspettava con ansia che qualcuno le desse il cambio. Era seduta su di una vecchia poltrona sfondata e si alzò quando varcai la soglia della farmacia.
«Buongiorno» dissi più per educazione che per voglia. Una specie di grugnito rispose al mio saluto poi, quando si appressò al bancone le dissi, mentendo spudoratamente: «Mi hanno investito il cane e ha molte ferite, cosa gli devo dare per farlo stare meglio?»
«Lo abbatta o lo porti da un veterinario». Rispose senza guardarmi in faccia.
Io incalzai: «Mi ci sono affezionato ma non ho i soldi per portarlo da nessuna parte.»
«È piccolo?»
«Sì, è minuto» risposi pensando a Natalina. Poi mi corressi: «No, è grosso ed ha la febbre.» Emise un altro grugnito, poi prese da uno scaffale delle fiale, delle pillole, delle siringhe e due bottiglioni con del liquido trasparente.
«Le sa fare le punture?» ,i chiese accusatoria.
«Sì – dissi. – Le ho già fatte»
«Allora intanto gli faccia una fiala al mattino e una alla sera per cinque giorni di questo. È un antibiotico, poi gli dia queste compresse. Sono antinfiammatorie, per tre giorni gliene dia una al mattino e una alla sera poi, dal quarto giorno, una al giorno. Gli faccia queste flebo, sono soluzione salina, ne avrà bisogno specialmente se ha perso sangue, questi sono gli aghetti per le flebo da fare in vena, ha capito? L’antibiotico sotto la pelle della coscia e le flebo in vena, non faccia al contrario. Poi, bende ne ha bisogno? garze, disinfettante?»
«Sì, mi dia tutto. Posso pagare con la carta?»
«Soldi non ne ha?» chiese ancora come se volesse sputarmi in faccia.
«Speriamo che funzioni sto coso.» continuò prendendo il POS da sotto il bancone. Le diedi la carta e lei mi porse la tastierina per farmi digitare il codice.
Presi la busta piena di medicinali mentre la udivo ancora borbottare uscendo dalla farmacia: «Lo abbatta, è meglio! Soffrirà di meno…»


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