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Costume e SocietàLetteratura

A tu per tu con la signora Caruso

Наталина - Solo due mesi d’amore


Edil Merici

Di Bruno Siciliano

⚠️ ATTENZIONE!
Scorri in fondo all’articolo per ascoltare questo capitolo del romanzo letto dalla viva voce di Bruno Siciliano!

Avrei voluto parlarne con qualcuno, raccontare la mia avventura.
Non c’era certo da vantarsi a nascondere in casa una ragazza clandestina, rapinatrice e per di più incinta. Stavano andando a farsi fottere tutte le raccomandazioni di mio padre, tra cui i primi due importantissimi comandamenti:
«Non fare cazzate e fatti sempre i cazzi tuoi!»
No, certamente l’ufficio, in fatto di riservatezza era Off-Limits. Come quando avevo raccontato a Marinella, la collega più fidata che conoscevo, del ritardo di Claudia e dopo qualche minuto già in tre mi avevano dato gli auguri per la mia presunta paternità.
No, la cosa sarebbe dovuta rimanere segreta. Ospitare Natalina, indubbiamente, non era stata una scelta molto oculata, ma ormai l’avevo fatta e non potevo più tornare indietro.
Raggiunsi, intanto, il caos di Piazza Cairoli e mi preoccupai di trovare, nei pressi degli uffici del giornale, un parcheggio.
Lasciai l’auto con una ruota dentro a un’aiuola e scesi immediatamente prima che qualche ligio e petulante cittadino mi potesse rimproverare.
Entrai nell’ascensore e spinsi il “4”. La vecchia cabina lentamente si mosse tra mille scricchiolii per i suoi acciacchi.
Un puzzo misto di carta, caffè, polvere e bucce di mandarini mi venne incontro. Io lo respirai a pieni polmoni, spinsi la porta ed entrai.
La signorina Parretta con i suoi eterni, buffi occhialini sul naso mi diede il buon giorno:
«Bene arrivato Bruno! Il direttore è incazzatissimo con te e mi ha raccomandato di mandarti da lui non appena saresti arrivato.»
«Buon giorno pure a te – dissi in un sospiro. – C’è caffè?»
«Te lo do quando hai finito col Direttore.»
«Ancora grazie, Parretta, sei un’amica.»
Mi sorbii il predicozzo del direttore, che aveva pronunciato sapendo che tanto avrei ugualmente fatto lo stesso di testa mia. Poi tirò fuori dal cassetto della sua scrivania qualcosa avvolto nella carta di giornale.
«Tieni, l’ho comprato dai cinesi qualche tempo fa, è il nostro cordone ombelicale. Funziona benissimo e prende anche sotto il letto, quando squilla rispondi sempre. La prima volta che non lo fai potrai fare a meno di presentarti al giornale.
«È l’ultimo avvertimento. Non ti caccio ancora perché, purtroppo, scrivi bene e fai delle ottime foto. Non ho altro da dirti. Adesso puoi toglierti dalle palle.»
Non sapevo se dire “grazie” o “buongiorno”, per cui emisi una specie di brontolio indecifrabile e andai a prendere il caffè che la Parretta mi aveva già preparato da qualche minuto. Mi sedetti, poi alla mia scrivania e accesi il PC.
La giornata trascorse così tra articoli di cronaca nera e minuziose descrizioni di manifestazioni culturali alle quali non avevo mai preso parte.
La mia mente non si era mai staccata da Natalina, che mi era entrata nel cuore e nelle vene dal primo istante che l’avevo incontrata.
Amore?
Ma smettiamola! Tutto si giustifica troppo spesso con questa parola. In quel momento avevo problemi più seri di queste inutili fantasie.
Pietà, ecco cos’era, una bella dose di pietà per una ragazza nei guai fino al collo e pure incinta. Anche questo era un grosso problema. Quando la pancia sarebbe cresciuta ancora e quando sarebbe arrivata l’ora del parto. Oddio, non volevo pensare. Avrei dovuto fare qualcosa e subito. Questo avrebbe implicato la denuncia e la galera per lei. Una rapina a mano armata! Certamente sarebbe stata rimpatriata dopo essersi fatta da sei a venti anni di galera sulla base dell’articolo 628 del Codice Penale e poi si sarebbero aggiunte tutte le aggravanti. Non ci volevo neanche pensare. Lei non avrebbe mai più visto la sua Lara e io mi sarei portato dentro un peso immenso.
A che sarebbe servito?
Senza contare che anch’io avrei avuto la mia porzione di responsabilità per tutte le cazzate che avevo commesso in soli tre giorni.
Tra articoli che servivano a riempire il giornale del giorno dopo e i dubbi esistenziali arrivarono le quattro del pomeriggio e io corsi via a riprendere la mia Panda che misi in moto dopo aver tolto dal parabrezza la rituale contravvenzione per il mio parcheggio azzardato. Il braccio violento della legge aveva compito ancora. Beh, quest’ennesima multa avrebbe contribuito ad accrescere la mia collezione di cartelle di tasse inevase e sanzioni varie.
Passai dal pollivendolo e comprai un pollo arrosto con tante patatine fritte. Poi ripresi Via Vittorio Emanuele, che mi accolse come una madre in pena.
Lei dormiva nel mio letto che non toccavo da tre giorni interi. Sicuramente non aveva pranzato ma non la volli disturbare e la guardai dormire.
La cucina era ordinatissima come non lo era mai stata da quando abitavo in quell’appartamento con vista sulla Madonnina del porto.
Faceva caldo, e spalancai la finestra.
Lei s’era data da fare a rassettare, lavare e pulire.
Il frigo piangeva miseria e sicuramente non aveva trovato nulla da mangiare. Io non ci avevo pensato e lei, forse, s’era fatta solo un’altra tazza di latte coi biscotti.
In serata avrei dovuto fare la spesa. La mia piccola ospite avrebbe dovuto mangiare qualcosa di sostanzioso. Altro che pollo arrosto!
Mi misi al PC e digitai su Google: “Alimentazione per donne in gravidanza”.
Lo schermo mi riportò una sfilza di voci e rimandi che cliccai a caso. Non ci capii un’acca. Tutto era schematico e riportava tabelle ed esempi che un ginecologo o un  nutrizionista avrebbero sicuramente apprezzato.
Chiusi il PC, mi rimisi il giubbino e riaprii la porta d’ingresso contemporaneamente alla signora Cornelia Maria Pignatelli vedova Vittorio Caruso, Colonnello della Finanza.
«Buongiorno, Professore. C’è un’ospite nel suo appartamento. È una bella ragazza e… aspetta. Stavolta deve averla fatta veramente grossa, professore.»
«Sssst, signora, la prego…»
Mi avvicinai alla vecchia signora e feci per prenderle la mano, che lei ritrasse. Poi con poco garbo la scostai ed entrai a forza nella casa della Caruso chiudendo la porta dietro di me. Vidi una poltroncina coperta dal cellophane nel suo salotto buono che sapeva di naftalina e deodorante per interni e mi ci sedetti.
«Signora, non gridi, ho bisogno di parlarle.»
Con mia grande meraviglia lei mi si accostò e si sedette sul divano accanto a me guardandomi dritto in faccia.
Le raccontai tutto. Proprio tutto. Non avrei mai pensato che la signora Caruso mi ascoltasse con tanta attenzione e che addirittura, alla fine del mio racconto, mi abbracciasse, anzi, con gli occhi lucidi mi dicesse con malcelata dolcezza:
«Stavolta ti sei messo veramente nei guai e ti sei pure innamorato, vero?»
«No, questo no. È che mi fa pena quella ragazzina che si è messa in un guaio più grande di lei!» risposi guardando il tappeto finto persiano che recava una vistosa macchia di caffè tra un ghirigoro e l’altro.
«Come faccio?» Ripresi dopo un pausa che parve interminabile.
«Con te è al sicuro, i soldi non vi mancano. La potrai curare e farla rimettere in sesto…»
«I soldi? Ma io pensavo di restituirli…»
«Sì, bravo, e la bimba che nasce? Non pensi a lei? Considerali la sua dote. Avrete bisogno di soldi per i vestitini, le pappette e tutto quello che le servirà.»
«Ma è pazzesco! Ma si rende conto, Signora? Sono soldi rubati, non possono servire per la dote di nessuno e poi io non la voglio con me, se ne deve andare!»
«Ciccino, guardami negli occhi. Ci riusciresti?»
«A fare cosa?»

Continua…

Foto: qnm.it


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