Alterazioni di congegni, impronte e contrassegni
Breve storia giuridica dei reati in materia di accise
Di Agostino Giovinazzo
Il reato di alterazioni di congegni, impronte e contrassegni è disciplinato nell’articolo 46 del Decreto Legislativo nº 504 del 26 ottobre 1995, a mente del quale è punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque, al fine di sottrarre prodotto all’accertamento:
- contraffà, altera, rimuove, guasta o rende inservibili misuratori, sigilli, bolli, punzoni, marchi di verifica o altri congegni, impronte o contrassegni prescritti dall’amministrazione finanziaria o apposti dalla Guardia finanza;
- fa uso di sigilli, bolli, punzoni, marchi di verifica o altre impronte o contrassegni prescritti dall’Amministrazione finanziaria o apposti dalla Guardia di Finanza contraffatti o alterati, ovvero senza autorizzazione.
Oltre a ciò, è altresì prevista la reclusione da uno a sei mesi per chiunque detiene, senza autorizzazione, congegni, sigilli, bolli o punzoni identici a quelli usati dall’Amministrazione finanziaria o dalla Guardia di Finanza, anche se contraffatti. La pena è, invece, della reclusione da un mese a un anno se tali fatti sono stati commessi da un fabbricante.
Ebbene, da questa prima lettura del dato normativo è dunque facile intuire che l’elemento oggettivo caratterizzante la fattispecie in esame è sostanzialmente riconducibile nelle seguenti tre fattispecie:
- alterazione di dispositivi conformi alle prescrizioni;
- contraffazione di apparecchi per la registrazione della produzione o del consumo di prodotti soggetti a vigilanza fiscale;
- utilizzo di dispositivi di verifica fiscale senza autorizzazione dell’Amministrazione finanziaria.
La condotta incriminata, oltre alla contraffazione (da intendersi come realizzazione ex novo di apparecchi di verifica), ricomprende quindi anche il mero uso illecito di sigilli, bolli, punzoni, marchi di verifica o altri contrassegni prescritti o apposti dall’Amministrazione finanziaria e dalla Guardia di Finanza come anche la semplice detenzione, senza autorizzazione, di tali dispositivi che, rispetto alla prima, viene tuttavia punita in misura più lieve.
Il delitto in questione si configura, quindi, come “reato di pericolo presunto”, a nulla rilevando, ai fini della punibilità e quindi per la realizzazione della fattispecie incriminata, la valutazione del pericolo concreto realizzato da ogni singola condotta e l’effettivo conseguimento dell’evasione d’imposta.
A tale ultimo proposito occorre sottolineare invece che, ai sensi del comma 4 dell’articolo 46 è sancita l’applicabilità delle sanzioni previste dal D.Lgs. nº 504/1995 all’art. 40 (sottrazione all’accertamento e al pagamento dell’accisa sui prodotti energetici) e all’art. 43 (sottrazione all’accertamento e al pagamento dell’accisa sull’alcole e le bevande alcoliche), in tutti i casi in cui, dalle condotte appena descritte, ne derivi anche un’evasione di imposta.
In questi contesti è, dunque, d’obbligo parlare di concorso formale eterogeneo di reati, essendo le condotte di sottrazione al pagamento dell’accisa realizzate mediante l’alterazione o la contraffazione di apparecchiature fiscali, caratterizzate da un elemento aggiuntivo in termini di disvalore, rispetto alle modalità esecutive dei reati tipizzati negli art. 40 e 43 del D.Lgs. nº 504/1995.
Per quanto concerne poi l’elemento soggettivo, il delitto in esame richiede la sussistenza del dolo specifico, cosiddetto di evasione, dato da fine di sottrarre il prodotto all’accertamento fiscale o, comunque, preordinato al conseguimento di un indebito rimborso o di un inesistente credito d’imposta.
Tale impostazione porta con sé che l’autorità finanziaria, prima di procedere con la contestazione del reato in argomento, sarà tenuta ad acquisire specifici elementi di prova tali da poter far desumere un intento fraudolento all’atto della contraffazione o alterazione di apparecchiature e congegni di vigilanza fiscale.
Foto: studioalessio.eu
Tratto da Contrabbando doganale e delitti in materia di accise, edito da Key editore, collana diretta da Enzo Nobile.