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Costume e SocietàLetteratura

Le prede di guerra

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri XCII


Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

La consuetudine dei Poeti, dei Filosofi e degli Storici di occuparsi di politeia è sicuramente uno dei tesori che permette di ricostruire fatti, elementi di diritto e avvenimenti storici. Omero eccelle su tutti. Dalle sue opere conosciamo la procedura e la pena per l’omicidio (lo scudo di Achille); dai giochi in onore di Patroclo abbiamo il valore dei beni nel baratto. Come diceva Pericle ogni greco si occupa di politeia, perché diversamente sarebbe considerato persona inutile.
Da una poesia di Nosside si può ricavare quali beni appartenevano all’Erario. Invero, le notizie sono due: di una battaglia tra locresi e bretti, avvenuta intorno al 350 a.C., per la quale si faceva confusione con la battaglia del fiume Sagra. Dalle sue parole sappiamo di una invasione dei bretti che cercavano nella Locride un luogo dove potersi stabilire in modo definitivo. Andò male. I Bretti parlavano anche greco. Ritenteranno ancora nel 205 a.C., con Annibale. Amilcare Barca e il generale Annone avevano imbarcato nella loro avventura una colonna di bretti per la loro scelleratezza (Annibale non faceva fare ai suoi soldati, come dire, il lavoro sporco) ma soprattutto perché parlavano greco, che per i Cartaginesi era arabo. I bretti (o bruzi) volevano cercare posto stabile per la loro gente, mentre Annibale, dopo l’uccisione del fratello Asdrubale, aveva esigenza di far arrivare da Cartagine truppe fresche per combattere Roma, scegliendo tra Krothon, Locri Epizephiri e Reghion. Reghion resistette e gli ordini di Annibale erano di non impegnarsi in scontri sanguinosi, data l’esiguità delle truppe rimaste; Krothon era distante. Locri l’alternativa più conveniente. E Locri aprì le porte ad Annibale che aveva preso prigionieri un gran numero di locresi. I bretti cercarono di vendicarsi dell’affronto subito e Annibale li fece ritornare a Krothon. Di loro non vi è traccia nella Locride, a eccezione forse di Bruzzano, dove una piccola comunità si stabilì. Krothon fu la loro sede perché Annibale qualche concessione la doveva fare. Salvò però trecento nobili krotoniati, assediati dai bretti, invitando i locresi a farsene carico. Delle navi partirono da Locri e si portarono gli eroici krontoniati. La storia è strana: oltre 300 anni prima Krothon cercò infatti di distruggere Locri. Nel 205 a.C. i Locresi salvarono i Krothoniati perché erano Greci prima di tutto e perché il tempo è un medico saggio e l’antico odio svanito.
Di Nosside, della immensa Nosside si sa poco. C’è chi la colloca addrittura tra le prime nove o sette Muse della Grecia. Questo è un modo di ragionare meschino. Quando si è di fronte a dei grandi non è necessario stilare una classifica: Nosside, Saffo, Teano, erano grandi. Di Teano non si sa nulla, se non che forse fosse contemporanea di Stesicoro. Eppure godeva di una grande considerazione, se la Suda la ricorda in questo modo: “Teano, poetessa lirica, (compose) odi e canti lirici in stile locrese.”Non è rimasto molto di Nosside, ma 12 epigrammi sono conservati nell’Antologia Palatina, di cui uno si dice spurio. Dalla poesia sui bretti ricaviamo l’epoca in cui visse, in quanto accenna al fatto come conosciuto direttamente: fine del IV secolo a.C. Nosside era di buona famiglia, sapeva tessere. Aveva cultura e conosceva Saffo, di cui era una fervente ammiratrice. Nosside era una sacra prostituta; è lei stessa a dircelo indirettamente, con la seguente poesia, in modo molto garbato e poetico, ma bisogna stare attenti, perché la parola amore è ἔρωτος (érotos), che non significa amore platonico, perché se in tutte le traduzioni (ma la presente dell’autore, traduce la parola in italiano con Amore, con riferimento ad un uomo concreto) la parola ἔρωτοςviene tradotta amore, nel suo significato originale significa amante, ma fa anche riferimento diretto al sesso maschile, se è vero che per la prima notte di matrimonio alla sposa veniva consegnato un erote,ossia un omuncolo di terra cotta con un sesso enorme. Ergo, la traduzione potrebbe essere: Niente è più dolce di un amante, oppure: niente è più dolce del sesso. Così la poesia, dove il termine è stato tradotto con un Amore, un uomo:

Niente è più dolce di un Amore; e ogni altra gioia
viene dopo: dalla bocca sputai anche il miele.
Così dice Nosside: sventurato chi non amò Cipriade,
perché non sa quali fiori siano le sue rose.

Sul tema torna con l’epigramma su Poliarchide, che da in dono ad Afrodite una trapunta d’oro per ringraziarla di avere avuto un corpo desiderabile.
La sua passione per Saffo, sfiora la dedizione. Vuol fare sapere alla grande Poetessa di Lesbo che anche lei è cara alle Muse e così le manda i suoi saluti:

Straniero, se navigando ti porterai a Mitilene bella di canti,
per cogliervi il fiore della grazia di Saffo,
dì che io fui cara alle Muse, e son di Locri.
Il mio nome, ricordalo, è Nosside. Va’!

Ma la poesia alla quale si intende fare riferimento è quella della battaglia contro i bretti che ancora una volta sul fiume Sagra vide i locresi annientare i nemici. Si accenna a oltre trentamila morti. Certo non sono gli oltre 100.000 (come si dice) della battaglia tra locresi e Krothoniati nel 535 a.C. E, tuttavia, è una delle battaglie che hanno garantito una temibilità senza confini dell’esercito. Anche i romani e lo stesso Annibale li temevano, quando ormai Locri era già decadente. La traduzione che qui si riporta non è quella di Ettore Romagnoli, ma l’autore l’ha tratta dall’opera di Giulio Ferrario Del costume antico e moderno del 1831. Una traduzione splendida e poetica, ma non del tutto fedele nelle parole, seppure nella sostanza lo è certamente. Invero, nell’originale i versi sono quattro; nella traduzione sette; ma si guardi bene l’originale e la traduzione e si vedrà che non è una bella infedele. Qui si darà una nuova versione, poiché nel testo di Francesco Saverio De Rogati sembra che le armi siano state in dono al Tempio, mentre così non è. La traduzione ha il pregio di cercare di rispettare nella forma l’epigramma nella sua costituzione di quattro versi;non ci riesce poiché i versi sono cinque; tuttavia sottolinea che nell’originale non parla di dono agli Dei, ma che gli scudi giacciono presso il Tempio:

Gli scudi che gli uomini bretti gettarono via dalle spalle codarde,
Battutti dai locresi agili nella battaglia,
di costoro testimoniano ora la virtù, giacciono nei templi divini
E non sentono desiderio degli avambracci
Dei vili che li abbandonarono.

Si badi bene, non si tratta di scudi votivi, ma di scudi appartenenti all’Erario, di cui il Tempio di Zeus rappresentava il custode.
Il ragionamento trova altro conforto nella Tabella 27 in cui è nominato tra i beni appartenenti al Tempio le prede di guerra. Specificatamente dice “il ricavato del bottino di guerra, per come tradotta da Landi. E poco importa che qualcuno intende l’espressione come conseguenza della vendita delle prede di battaglia, come il bronzo o delle altre parti metalliche, perché è pacifico che i bottini di guerra a Locri superavano le esigenze specifiche di armature.
Il ragionamento trova conforto nella struttura del Klèros locrese. A differenza di quello spartano, che prevedeva e l’obbligo di contribuire ai sissizi, e, soprattutto, la panoplia (letteralmente significa, tutti scudati), ossia l’obbligo di provvedere direttamente all’armatura, cosa di cui lo scudo rappresentava la parte per il tutto, a Locri non vi è traccia dei sissizi, per la ragione che, non esistendo schiavi, non si delegava agli Iloti l’obbligo di coltivare la terra. D’altronde quella dell’armatura era una spesa di non poco conto. Se non prima, sicuramente dopo la battaglia del fiume Sagra la consuetudine è nata e legalizzata. In quella occasione furono tante le armi prede di guerra, che vi era sufficienza per le singole prede e per lasciar all’Erario il resto. D’altronde nell’esercito locrese non vi erano, a leggere i testi di storia, i peltasti, ossia le armi della gente povera che era munita solo di unapelta, una pertica, con sopra una punta di rame o di ferro. Lo scudo ricavato alla meno peggio da una pelle di vacca(oplon in greco significa cuoio). L’esercito si muoveva in poche unità, quando partecipava a qualche guerra in favore degli alleati: non più di tre more, e ogni mora non superava i 512/518 soldati; eppure, erano delle unità temibili, perché tutti armati.

Foto: everyeye.it


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