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Costume e SocietàLetteratura

Uomini e lupi nell’Aspromonte Greco: Storia del Lupo Kola


Edil Merici

Di Luisa Ranieri

Nell’Aspromonte Greco il lupo viene chiamato Kola, termine che, secondo me, deriva dalla voce greca λύκος (pronuncia lúkos) con quello spostamento di intere sillabe o di semplici parti di esse (es. ψυχή – psiché = anima che diventa spichi), che probabilmente serve per facilitarne la pronuncia.
E dell’Aspromonte greco tale animale porta in sé tutta la fierezza, la forza e, soprattutto, l’imponente bellezza, così come appare nelle descrizioni che ne fanno sia Francesco Perri nella sua Storia del lupo Kola (1964) che Paolo Fragomeni ne Il fago (2021).
Le due opere, scritte a più di sessant’anni di distanza, ci portano, attraverso vie narrative diverse, nel cuore della montagna bianca e del suo abitante più terribile, ponendoci davanti all’eterno dilemma di quale sia e di quale dovrebbe essere il rapporto degli uomini con la natura: di coesistenza, di addomesticazione, di sudditanza, di predominio?
Da Pavia, che era diventata la città d’elezione di Perri, il pensiero dello scrittore nativo di Careri e che non si era mai allontanato affettivamente dai suoi monti, ritorna a essi e al rapporto che gli uomini vi stabiliscono con la fauna che li popola.
Ne nasce, con La storia del lupo Kola, una favola per bambini che in realtà si indirizza a un pubblico soprattutto adulto.
La scelta di tale genere letterario comporta da sempre l’esplicitazione di una morale che si fa evidente man mano che la vicenda viene narrata.
Nello specifico, la storia di un cucciolo di lupo rimasto orfano dei genitori, trovato da un pastore e poi comprato da un agiato allevatore per farne dono al figlioletto dodicenne Fulvio, diventa emblematica del tentativo fallimentare di addomesticare un animale nato libero, costringendolo a una vita non sua: al chiuso di un recinto, con un’alimentazione a base di pane  e latte nonché di minestre di verdura, e con l’assoluto divieto di fargli trovare nella ciotola carne fresca, soprattutto al sangue.
Ne nasce una servile sudditanza che non può durare a lungo perché – questa è la morale che scaturisce dal racconto – nessuno può sfuggire alla forza del proprio istinto, che prima o poi viene fuori in modo dirompente a cambiare il corso delle vite.
E la presa di coscienza, per tutti gli esseri animati, non può che avvenire attraverso una crisi.

A mezzanotte la sua inquietudine, più che la fame, diventò irresistibile. Era quella l’ora in cui i lupi iniziano la caccia. Più che la sete di sangue, lo agitava un desiderio di correre per la campagna, raggiungendo il bosco, battersi, aggredire qualcuno, affrontare un pericolo. Meravigliosa cosa la libertà, di cui solo ora si rendeva conto, meravigliosa cosa la lotta e la battaglia, che davano sapore ad ogni conquista.
pagina 130

E Kola abbandona il recinto della sua prigionia e quella cartella che si era abituato a portare nelle fauci per sollevare dalla fatica il suo padroncino nel tragitto verso scuola e si inoltra nella realtà sconosciuta ma affascinante del bosco.
La montagna aspromontana che Perri ci presenta non ha una connotazione geografica precisa ma, come in tutte le favole, ci viene presentata in modo sfumato e, per lo più, attraverso gli elementi atmosferici che ne fanno cambiare l’aspetto attraverso il susseguirsi delle stagioni:

Dopo una nevicata che aveva imbiancato l’Aspromonte fino ai margini della pianura, si era levato dal mare un vento così furioso, che pareva  volesse scardinare la montagna.
pag. 25

L’inverno declinava nel marzo ventoso, i margini delle siepi erano già coperti di erba fresca, e il cibo non mancava.
pag. 67

Dalla montagna quella notte spirava una brezza fresca, e il diffuso mormorio del bosco vicino e il fruscio delle piante coprivano il lieve, cauto avanzare dei lupi in mezzo alle felci.
pag. 139

Come guida nel nuovo ambiente, Kola si ritrova la sorella gemella Mau che aveva creduto perduta dopo la tragedia dei genitori e che gli insegna tutto sulla via della riconquistata libertà, dai sentieri da battere nel corso della caccia alle tecniche più efficaci per scannare un animale e nutrirsi di sangue caldo.
Dalla cartella abbandonata all’uccisione e allo scannamento di un cavallo che di notte se ne sta a brucare pacifico nel bosco, l’apprendimento di Kola è rapido e del tutto consono alla sua indole.

Il lupo segue le vie della natura e non conosce complicazioni. Ubbidisce all’istinto. I suoi bisogni sono pochissimi ed essenziali: mangiare, difendersi dai nemici, riposare.
pag. 91

L’agguato e l’uccisone atroce del cavallo richiamano alla mente il motto degli antichi romani “Mors tua, vita mea” che sembra calzare a pennello nell’ambito della vita animale, in cui ogni esemplare sembra destinato a essere mangiato da un altro, in un’infinita e, secondo me, crudele catena alimentare che conferma il senso stesso della parola Natura = come di colei che è destinata a rinascere attraverso la conservazione dei suoi equilibri che il più delle volte prevedono la vita dell’uno a scapito della morte dell’altro.
Nelle ultime righe del testo, l’autore tenta una sintesi tra i sentimenti umanizzati del lupo e la sua necessità di sopravvivenza. Essi vengono condensati nella figura dell’ormai vecchia capretta Colombina che,  come una vera madre, aveva allattato Kola da piccolo e che viene da lui portata a vivere su in montagna in compagnia sua e di sua sorella per salvarla dall’ingordigia degli uomini pronti a cuocerne le carni, ora che non può più sfornare capretti per le loro tavole.

Kola e Mau […] l’amarono come una madre. Ma venne l’autunno, sulla montagna cadde la neve. La vecchia Colombina, visto che la stagione buona era finita, si sdraiò nella sua tana e si addormentò.
I due lupi la piansero con un lungo ululato, e, poiché era morta la mangiarono.
pag. 142

Foto di copertina: gazzettadelsud.it


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