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Costume e SocietàLetteratura

Mohenjo Daro

Le ultime figlie di Lilith


Edil Merici

Di Francesco Salerno

Gabriel si lasciò cadere stancamente sulla sabbia, sfinito da quell’ennesima giornata senza risultati. Era a Mohenjo-Daro da una settimana, ormai, e ancora non era riuscito a trovare nulla di utile. Grazie ai suoi contatti era riuscito a farsi dare un pass per accedere al sito storico. Aveva trascorso giorni a esaminare ogni stele, ogni cerchio di pietra, ogni immagine scolpita nella pietra. Nulla però pareva avere una qualche attinenza con Lilith. Secondo le stime, quel sito doveva avere circa 5.000 anni, anche se alcuni studiosi ritenevano il sito enormemente più antico.
Le ipotesi più accreditate affermavano che quello era un antico luogo di culto e di preghiera, sebbene nessuno potesse dire esattamente verso chi o cosa. Il caldo opprimente della giornata pareva non volersi affievolire nemmeno con l’arrivo della sera. Gabriel alzò gli occhi al cielo, chiedendosi se tutta quella storia non fosse ridicola. Viaggiare per mezzo mondo, tra riti voodoo e siti misteriosi era forse solo un’enorme sciocchezza. Mentre i dubbi lo attanagliavano, alzò gli occhi verso la stele di pietra che aveva davanti, una delle tante presenti sul luogo. Su questa vi era disegnato quello che sembrava un canide, sebbene fosse difficile identificare la razza esatta dell’animale.
«Chissà se hai sete pure tu, dopo 5.000 anni di caldo…» disse stancamente il professore alzandosi in piedi. Con un gesto del tutto immotivato, figlio forse dello sconforto, prese la sua borraccia d’acqua e ne versò un po’ sulla stele. Le goccioline del liquido iniziarono a scendere verso il basso, disegnando una lunga linea retta sull’antica pietra. Gabriel rise dinnanzi a quel suo gesto infantile, dandosi dell’idiota. Poi, qualcosa di strano attirò la sua attenzione. Quando era quasi giunta ai piedi della stele, l’acqua versata si era fermata di colpo contro una delle pietre che formavano il basamento. Gabriel trovò la cosa molto strana considerato quanto erano stati perfetti i lavori di costruzione delle opere. Nessuna imperfezione, squadratura sbagliata o proporzione mancante.
Versò altra acqua, stavolta in maniera più abbondante e osservò il suo corso. L’acqua scese nuovamente lungo la stele, fermandosi solo in prossimità di un’unica pietra del basamento.
«Ma che diavolo…» mormorò tra le labbra, per poi abbassarsi verso la pietra in questione. L’acqua aveva rivelato una strana linea di demarcazione, come se quella singola porzione fosse solo incastrata nel resto dell’opera. Con grande delicatezza, il professore provò a muoverla. Il cuore quasi non gli scoppiò nel petto quando si accorse che veniva via senza difficoltà. Trattenendo il respiro, rimosse infine la pietra e tirò fuori il contenuto del loculo segreto.
Era un lungo involucro di pelle conciata, simile a una faretra. Con timore misto a curiosità, Gabriel la aprì. Dentro vi era una specie di pergamena tenuta assieme da fili d’oro. I singoli rettangolini che formavano il documento non erano però fatti di pietra o papiro, bensì di ossa levigate e lavorate con gran cura. Su di esse, una serie di simboli impressi a fuoco che era impossibile identificare sul momento.
«Lo sapevo che ci saresti tornato utile, prima o poi!» disse all’improvviso una voce nell’ombra.
Gabriel sobbalzò a quelle parole, voltandosi verso il centro del sito archeologico. Qui, a meno di venti metri da lui, erano in attesa tre donne dallo sguardo di ghiaccio. Il professore ne riconobbe immediatamente una delle tre, era la stessa che aveva ucciso Mickey e sfigurato lui.
«Il tuo viaggio finisce qui, professore. Dacci il cifrario, adesso!»
Gabriel strinse a sé il reperto appena scoperto. Sapeva dentro di sé che quelle non erano semplici donne, ma allo stesso tempo non voleva arrendersi ai mostri che avevano ammazzato il suo amico.
«Venite a prenderlo» disse spavaldamente.
Le tre donne sorrisero con malizia, poi lanciarono un urlo inumano che risuonò per tutta Mohenjo-Daro. Un attimo dopo gli furono addosso.

Continua…

Foto: equivalente.it


Gedac

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