Una mobilitazione internazionale per aiutare la giornalista che ha detto no alla guerra
Dalla Redazione de Il Dubbio
Marina Ovsyannikova, giornalista russa e collaboratrice da Mosca del quotidiano Il Dubbio, si trova ai domiciliari dallo scorso 10 agosto, data del suo ultimo arresto. Ma i guai per lei sono cominciati lo scorso marzo, a meno di un mese dall’invasione russa in Ucraina, quando il mondo intero l’ha vista protestare con un cartello contro la feroce guerra di Putin in diretta su Channel One, primo canale della Tv russa. Da allora Marina è considerata una nemica del regime: la reporter è accusata di odio politico, in violazione dell’articolo 207.3 del codice penale russo, in tema di divulgazione di informazioni false sulle forze armate russe. Una «legge folle e incostituzionale», spiega il suo difensore Dmitry Zakhvatov, introdotta subito dopo l’aggressione militare in ucraina per silenziare l’opposizione. Sono centinaia, infatti, i dissidenti, gli attivisti e i giornalisti messi a tacere come Marina, che lo scorso 15 luglio ha manifestato nuovamente nei pressi del Cremlino denunciando la morte di 352 bambini. Tre i procedimenti a carico della giornalista, e un quarto riguarda la custodia dei suoi figli, che tentano di portarle via. Marina è sorvegliata 24 ore su 24 dalla polizia, dopo che le è stato applicato il braccialetto elettronico. Non può scrivere, non può raccontare la verità. E ora rischia fino a 10 anni di reclusione. Per questo, in vista della prossima udienza attesa il 9 ottobre, chiediamo una mobilitazione internazionale affinché Marina sia rilasciata immediatamente e sia libera di fare il suo lavoro.