
Di Massimo Pedullà
Porta, che su quel letto senza amore affacciata ti chiudesti,
e a quella amara violenza assistesti,
Le urla accorate sempre più sommesse e sottomesse dovesti
udire
e nulla per fermar quell’atto infame potesti;
pietate ed ira provasti e quella mano
del venditore d’innocenza, che su quel sudicio mondo ti chiuse,
maledicesti.
Quel braccio
monco restò e mano più non mosse.
Fanciulla, nella misera solitudine immersa,
con inganno e furia trascinata e stuprata
in quell’assurda e bramosa violenza,
vitalità in uno degli arti perdesti
e tutta la vita, raccolta in te stessa,
zoppicante camminasti.
A strapparti anche il nome pensarono gli altri e
sempre più in basso cadesti,
la sorte non ti fu certo d’aiuto a rialzarti
e tu uomo, che sopra quel letto
nulla di umano avesti, del tuo grado abusasti
e col tuo vestir nero tanto disonore portasti
finché la mano del Nominato
su quel sentiero dell’Aspromonte ti rincorse
e in quell’alba fredda e ancor non chiara ti colse.
Del tuo animo nero, come la nera pece,
scempio fece,
e cielo e terra tutt’uno parve,
sul tuo sangue tanto gelo cadde e di così tanta viltate macchia
non rimase.
Foto: skppsc.ch