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Costume e SocietàLetteratura

La guarigione di Antipatro

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri


GRF

Di Giuseppe Pellegrino

Fu il fratello Aristonimo a parlare in sua vece e subito disse:«Noi siamo qui per invocare la benevolenza di Asclepio, disperati per il male che gli è stato procurato. Antipatro non può parlare, ma la supplica scritta riflette il suo pensiero.»
«Posala vicino all’altare – disse Democede, – e poi porta Antipatro nell’Abaton.»Così fece Aristonimo e Democede curioso lesse la supplica.

Dio onnipotente e benigno, la mia voce si prese un dardo nemico e io solo con la mente parlo e prego, senza poter comunicare. Non sono credente, ma tu hai guarito anche la miscredente Ambrosia da Atene, per dimostrare al mondo la tua bontà. Guariscimi e sarò testimone dei tuoi miracoli.

La preghiera era asciutta e veritiera.“Non è farina del sacco di Antipatro” pensò Democede, conoscendo l’uomo che per sua natura non avrebbe detto la verità neppure a sé stesso con la sola mente. Ma Asclepio proprio sui miscredenti fondava la sua gloria.Nell’Abaton, Antipatro fu steso su un lettino e visitato. Democede vide subito una piccola sfera bianca sul collo e al centro un punto nero; un gonfiore per tutta la gola. Fece aprire la bocca all’àristos e guardò verso la faringe e non vide corde vocali danneggiate. Si rivolse alla famiglia e disse:
«
Stanotte mi auguro che il Dio gli verrà in sonno e troverà la soluzione al suo male. Per cinque giorni nessuno di voi dovrà venire al Tempio, ma dovrà solo pregare per la benevolenza del Dio» concluse congedando i famigliari.Antipatro, disteso sul lettino, fu lasciato solo da Democede che lo tranquillizzò:«Al calar delle tenebre io sarò da te e con te pregherò perché Asclepio di venga in sogno.»
Antipatro sorrise mesto e cominciò a sperare. Con lui nella stanza vi erano tanti disperati. Chi soffriva di gotta, chi di ulcera, chi di un male incurabile. Per tutti Democede invocava la presenza di Asclepio e ognuno aspettava la notte o la notte seguente. Tutto il luogo odorava di santità e l’àristos, per la prima volta nella sua vita, si senti coinvolto in qualcosa di diverso che non fossero gli affari e il potere.Vennero le tenebre e insieme a esse Democede con un suo discepolo. Antipatro fu portato in una stanza da solo e disteso su un lettino più stretto. Democede gli diede una bevanda dicendogli:«Questa agevolerà il sonno e nel sonno ti verrà forse a trovare Asclepio e ti spiegherà che un umore maligno sta nella tua gola e, se sarà clemente, questo umore sarà tolto. Avrai l’impressione di essere ferito alla gola, ma non sentirai dolore; sentirai un liquido uscire e con esso il legno maligno che ti ha tolto la voce. Avrai la sensazione di febbre che durerà giorni e giorni e alla fine del sogno, con la sua benevolenza, il Dio si manifesterà.»
La bevanda fu assunta e, poco dopo, il sonno coprì ogni ansia. Poi Domocede invocò la presenza del Dio. Il carme era segreto e solo per adepti, perciò si assicurò prima che Antipatro dormisse. Cautela inutile, perché la preghiera fu recitata in una lingua strana, sicuramente non nota all’àristos, ed era la lingua egiziana. La sua mente non era rivolta neppure a Locri, ma al luogo dove aveva appreso i misteri segreti del Dio. Non era un’invocazione di certezza, ma un disperato bisogno di aiuto. Eppure, era la sua arte medica la vera causa delle garigioni:«Non sai, o Asclepio, che questa terra è l’immagine del Cielo, proiezione, qui nel profondo, di tutto l’ordinamento celeste?
Tuttavia, sappilo, tempo verrà nel quale saranno reputati vani tutti i riti praticati, con tanta fede, dai Greci ai loro Dei e tutte le loro sante invocazioni saranno considerate sterili e prive di senso.La Divinità lascerà la terra per risalire al Cielo, abbandonando la Sua antica dimora, che rimarrà priva di religione, orbata della presenza degli Dei… Allora, questa terra consacrata da tanti santuari e templi, apparirà ricoperta di tombe e di morti.
Oh, Terra uguale al Cielo! Dalla tua religione altro non rimarrà che un fiabesco racconto, al quale i posteri più non presteranno orecchio, e sola testimonianza della tua fede, mute parole incise sulla pietra!»
Era un canto disperato quello di Democede. Un canto che prevedeva un Mondo senza Dei, e perciò un Mondo senza vita. Tutti i suoi poteri non erano scienza, non erano il frutto dei suoi studi, ma la benevolenza del Divino Asclepio. Ora che il sacerdote si apprestava ad un compito difficile, egli, pur scettico per il futuro, in concreto invocava l’intervento del Dio.
E Asclepio, il divino, venne e aprì con le sue mani la gola di Antpatro e fece uscire il pus. Uscì anche un pezzo di bronzo, che era stato la punta di una freccia. Asclepio lavò la ferita che ebbe una piccola infezione. Veleno fu cosparso sulla ferita e il sogno sembrò non finire mai. Durò due giorni e con esso il delirio della febbre. Al terzo giorno il sudore cessò; al quarto solo il senso di spossatezza; al quinto venne il fratello, la moglie e il figlio. Antipatro ora era di nuovo nell’Abaton. Alla vista della moglie e del figlio, semplicemente disse:«Asclepio mi è venuto in sogno e con le mani mi ha aperto di nuovo la ferita e fatto uscire l’umore maligno. Poi mi ha detto: “Antipatro, parla”.»

Foto: pixers.it


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