Di Massimo Pedullà
Tempo dalle calure arse
che col tuo passare tanto corrodi;
e a udir grida di tempesta
sempre più forti ci porti.
Orti che fiorire e colorarsi vidi,
germogli e frutti dare,
ora calar per petti e valli
e lentamente lacrimare.
Povere cime e colli miei,
che sgretolar
sempre di più vi guardo,
e fiumare sempre più della nostra terra
verso il mar trainare;
abbandonati, dall’abbandonato uomo,
che con scoramento per altri luoghi
corse a trovar riparo al suo tormento.
Caina sorte dalle larghe mani,
che ingiusta
misura usasti,
e come palla al piede,
d’altra gente a umiliar ci portasti.
Povera mente nostra che a ragionar
col verso giusto
ormai non ci riesce
e all’annientar ci porta.
Chissà se gli occhi miei
un giorno mai potranno,
dai nostri mal peggiori
veder sanare.
Foto: greenplanner.it