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Costume e SocietàLetteratura

Storia di un matrimonio

La tela del ragno


GRF

Di Francesco Cesare Strangio

Non avendo ricevuto risposta, Aquilino pigiò nuovamente il pulsante del citofono con più insistenza e, dopo un minuto sentì la voce della sorella della fidanzata che lo invitava a pazientare un momento. Non appena la ragazza aprì il portoncino, si trovò di fronte il promesso sposo; alla vista del baldo fidanzato, ebbe un leggero cedimento e sbiancò in volto per poi arrossire come un papavero in piena primavera. Aquilino esitò un attimo e poi disse: «Allora, non mi fai entrare? Tua sorella dov’è?»
Pochi attimi e tutta la famiglia si parò a fianco della sorella della fidanzata: lo guardarono con gli occhi sgranati, come se avessero visto Lazzaro appena uscito dal sepolcro. Era passato un mese da quando si doveva far trovare davanti alla chiesa ad attendere la sposa. La promessa sposa, dopo essersi ripresa dall’apparizione del fantasma, andò nel ripostiglio e impugnò il manico della scopa e si scagliò contro Aquilino con l’intento di spaccargli il cranio, lui schivò il colpo e chiese, con veemenza, spiegazioni di quell’insano gesto. Dopo un lungo tira e molla fu svelato l’arcano, si giustificò dicendo di aver confuso la data e nell’attesa si era spostato all’estero per degli affari.
I famigliari della fidanzata, nel sentire quella puerile giustificazione, storsero il muso e lo invitarono a trovare un’altra scusa meno infantile.
Da buono zingaro, riuscì a giustificarsi dicendo che teneva conto che la data del matrimonio fosse stata fissata per il 15 del mese di giugno. Ecco quello che, secondo lui, l’aveva portato a equivocare. Dopo un lungo via vai di parole si rappacificarono, e tutto passò in cavalleria.
Il tempo passò veloce e il quindici del mese di giugno bussò alla porta degli sposi: quella volta badò bene di stare lontano dalla savana e lasciar perdere le giovani gazzelle.
Il matrimonio fu celebrato dal cugino prete della sposa che, puntualmente, ogni qual volta che si trovava vicino al futuro cugino, gli sussurrava: «Ma non c’è niente per me? La prossima volta procura due svizzerotte, così scappo anch’io». Dopo tanti sussurri e sorrisetti sotto i baffi, si arrivò alla fine della celebrazione del matrimonio.
Uscirono dalla chiesetta, lui aveva per vestito un frac nero di gran marca e un papillon per cravatta, lei era vestita tutta di bianco con i capelli neri raccolti in testa su cui era attaccato un lungo velo. Quattro paggetti, rigorosamente in frac, reggevano il lungo velo. Giù a tutta forza: confetti bianchi, rose e riso come auspicio di buona fortuna. Finalmente partirono per il ristorante, lo stomaco borbottava come delle malinconiche campane all’affacciarsi del crepuscolo.
Al ristorante, al tavolo degli sposi si sedettero tutte e due le famiglie tra cui c’erano il cugino prete e l’unico e solo fratello dello sposo, naturalmente, seduto vicino a mammà.
Il fratello l’aveva sempre guardato con sospetto e riserve, in quanto lo riteneva responsabile del depauperamento del patrimonio famigliare e di avere sottratto, notte tempo, un grosso baule contenente tutta l’argenteria degli antenati. Il casato dello sposo apparteneva alla classe dei latifondisti, avevano a loro seguito numerosi servitori, tra cui u furisi, che altri non era se non il cocchiere che portava il nonno in carrozza.
Il palazzotto della famiglia di Aquilino era ubicato dentro le mura di protezione della cittadella, all’interno della quale risiedevano i signorotti del tempo. Alle spalle del palazzotto, pressappoco a un centinaio di passi di una persona adulta, si trovava la chiesa le cui campane del XIV secolo, puntualmente, avvertivano gli abitanti del borgo dell’arrivo del nuovo giorno. Sentire i galli annunciare il nuovo giorno era un privilegio riservato ai servi della gleba, poiché stanziati nei poderi in cui  regnavano sovrani i trombettieri dell’alba.
Da allora erano passati tanti anni e quei ricordi andavano affievolendosi, sotto la forza impietosa del flusso del tempo. La dinamica del divenire cambiava ogni cosa con velocità impensabile; Aquilino, dal piccolo paese, passò alla città per poi girare il mondo in cerca di fortuna.
L’imprenditore si sentiva mentalmente sfasato da quando era rientrato dalla Cina: Il viaggiare in aereo non è come andare in treno. L’aereo è un miracolo della tecnica, la sua velocità permette l’arrivo del corpo in poco tempo, ma di contro lascia indietro l’anima. Concretamente, l’essere impiegava più tempo del solito per esserci nel mondo di arrivo.
La mattina di domenica era solito, quando non era lontano per lavoro, andare a messa con la moglie.
Al ritorno, lungo la via che li portava a casa, notò un uomo che sostava a pochi metri dal portone della palazzina dove abitava. Si trattava di Serafino, una vecchia conoscenza uscita dalla fitta nebbia del tempo. I saluti furono calorosi, tanto che la moglie rimase stupita dalla cordialità con cui il marito lo accolse.
La prima cosa che fece fu di domandare a Serafino quale vento l’avesse portato da quelle parti. L’amico gli disse che era andato lì di proposito, aveva in testa un brillante progetto che per i più sarebbe potuto apparire come il frutto acerbo dell’albero della follia.

Continua…

Foto: wtvideo.com


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