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L’antico sapore delle “origines” nel nuovo romanzo di Gioacchino Criaco


GRF

Di Cristina Caminiti

In principio era il Verbo.
È la parola che dà origine a tutte le cose, siano esse animate o inanimate. È la parola stessa che, attraverso il movimento, l’esperienza, il pensiero, plasma la verità e l’identità di un uomo. Ed è la lingua, in tal caso il grecanico, il filo conduttore scelto da Maria Teresa D’Agostino durante la presentazione dell’ultimo romanzo di Gioacchino Criaco, Il custode delle parole, edito da Feltrinelli, tenutosi presso il Palazzo Speziali/Carbone a Sant’Ilario dello Ionio.
Il borgo di Sant’Ilario si presta perfettamente alla serata. Il silenzio che avvolge il paese, intervallato dalle luci natalizie sui balconi e dentro i vicoli delle case, custodisce come il pastore Andrìa il tempo della storia e di una lingua antica. Lì si concentrano le due grandi generazioni che Criaco mette a confronto nel suo libro, due generazioni forse troppo lontane tra loro, ma che portano dentro di sé le medesime radici che li legano indissolubilmente, nonostante la paura e il rifiuto di accettarle.
Le parole dello scrittore si uniscono poi al teatro con l’attore Giuseppe Sgambellone che, diretto dal regista Bernardo Migliaccio Spina, ha condotto il pubblico dentro le pagine del romanzo, attraversando le foreste dell’antico Aspromonte contrastato dall’asfalto della modernità e dai profumi del mare, spesso portatore di nuovi popoli in cerca di un futuro come noi. Ciò accomuna Calabria e Africa: uomini che per svariati motivi affrontano la storia per crearne una nuova con il grande rischio di perdersi nelle identità altrui dimenticando la propria.
Insieme a Criaco, e dopo l’introduzione del sindaco Giuseppe Monteleone, Salvino Nucera ha interessato il numeroso pubblico con una lezione sull’evoluzione linguistica e sulla storia antica del territorio in cui il grecanico per lungo tempo è stata la sola lingua parlata tra le genti. Divenuto patrimonio dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, il grecanico, oggi, è parlato solo da una piccola percentuale di popolazione, la maggior parte della quale proveniente da paesi o zone diverse da quelle natie. Ed ecco il perno del romanzo di Criaco: siamo un “popolo muto” che sta perdendo l’arte della parola o, meglio, la conoscenza dell’arcaica identità causata dalla fiumara troppo veloce del progresso, dalla frenesia di adottare parole straniere, dalla paura di toccare con mano le fondamenta del passato.
Eppure abbiamo bisogno di sentire il profumo del passato per dare il giusto valore al presente. È attraverso di esso che si scopre e riscopre la propria vera identità, per accettarla, plasmarla e viverla. La conoscenza profonda delle origines, della historia personale e popolare è essenziale per affrontare il futuro.


Gedac

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