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Bovalino: al Caffè Letterario il sequestro Matarazzi e il buio che ha segnato la Locride


GRF

Di Cristina Caminiti

Lo si percepiva nella sala, negli occhi del pubblico, nei sospiri dei loro ricordi, il buio di quegli anni che hanno portato la Calabria e più specificamente la Locride e l’Aspromonte sulle prime pagine dei giornali e in apertura dei notiziari. Ferite aperte, lente a rimarginarsi, di chi il sequestro lo ha vissuto in prima persona, delle famiglie affannate da quei giorni e di chi la paura la doveva sentire ogni giorno, perché “chissà oggi a chi tocca”.
Il libro di Pietro Melia, Il sequestro Matarazzi. Nell’inferno dell’Anonima SpA, edito da Città del Sole, è un flashback negli anni che hanno segnato la Locride con un’infinita serie di sequestri di persona. Il Caffè Letterario Mario La Cava diventa così ospite di Tobia Matarazzi che, insieme a Domenico Calabria, Melia, Ezio Arcadi e Franco Arcidiaco, ripercorrono quasi un trentennio di tensione, dalla metà degli anni ‘60 agli anni ‘90, fino a quando, finalmente, i rapimenti di uomini, donne e ragazzi sembra smettere di esistere.
Matarazzi fu tra i primi. La colpa? Essere figlio di uno degli imprenditori più ingenti della Locride, fondatore della Società a Responsabilità Limitata Catello Matarazzi, qui denominata con l’ultimo nome assegnatale.
Non qui la trama del libro, né tantomeno un excursus su quegli anni. Non è questa la sede né il compito di chi quel periodo non lo ha vissuto, ma di chi semplicemente lo ha visto nell’animo della tanta gente seduta ad ascoltare.
Si tratta di un volume che oltrepassa il racconto e la narrazione romanzata e si incentra su una lunga intervista che Melia pone a Matarazzi, oggi dall’aspetto maturo, ma che mostra nella voce e nella memoria il ragazzo che fra i primi si ritrovò in mano di sconosciuti e in balia di uno Stato non ancora veramente pronto ad affrontare la nuova stagione inaugurata dalla criminalità organizzata.
L’Aspromonte, la bella montagna che incornicia la terra mediterranea, si trasforma in breve tempo in una città di covi in cui sequestrati e sequestratori convivono per lunghi e brevi periodi. Altri invece non faranno più ritorno da quelle alture. Tutto dipende dalle famiglie, dai riscatti esorbitanti pretesi e dal denaro tolto a quei padri e quelle madri a cui, se rivedevano il proprio caro, non rimaneva altra via se non il fallimento dell’azienda, la fuga o, peggio ancora, il trauma. Un trauma che era impossibile condividere, perché incastrato nella mente di coloro che il buio e la violenza, fisica e psicologica, li hanno dovuti subire.
Dall’altra parte, invece la costa, i paesi che si affacciano sul mare, che diventano anch’essi covi, ma di inquietudine di gente che brulica per le strade nella propria quotidianità, di giornalisti le cui mani e voci danno la notizia del “nuovo sequestro” a scadenza periodica e ritmata. Carabinieri, procuratori, forze dell’ordine chini sui telefoni e carte cercando l’aiuto da dare alle famiglie e poi le liberazioni, le foto, qualche arresto, poche confessioni di pentiti. L’aria era gelida anche d’estate.
Eppure, gli anni sono trascorsi, l’aria si è riscaldata, la terra è andata avanti con le sue generazioni e i suoi riscatti (morali), seppure a piccoli passi. Sì, perché oggi l’Anonima è andata in pensione, l’Aspromonte si sveste dell’inquieto passato e si rialza a testa alta accogliendo non più vittime, ma la bellezza della sua natura e della gente che l’ama. È un lungo percorso, che non vuole addossarsi più il concetto di vittimismo, sebbene di vittime di mafia ne abbia avute, ma che è degno di essere camminato da testimonianze e ricordi passati e dalla storia che oggi stiamo ricostruendo.


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