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Costume e SocietàLetteratura

La fine della fortuna

La tela del ragno


Edil Merici

Di Francesco Cesare Strangio

Serafino accostò la cornetta all’orecchio e quasi subito ammutolì; le sole parole furono: «Sì… sì, che volevano?»
Poi la salutò e rimase basito. Il volto di Serafino divenne bianco come lo spesso manto di neve che copriva il paesaggio, aveva lo sguardo perso nel vuoto del soffitto, non si capiva bene se volesse pregare o imprecare.
Il volto di Serafino tradiva la gravità delle notizie che gli aveva comunicato la moglie. A quel punto divenne consequenziale domandargli se fosse successo qualcosa.
Lentamente, come inebetito, Serafino disse: «Sono andati i Carabinieri a casa mia, hanno detto a mia moglie che pende su di me un avviso di comparizione emesso dal giudice per le indagini preliminari di Bologna.»
«Cosa possono volere?» chiese Aquilino.
Con tono concitato rispose: «Che cazzo ne so! Non ho mai fatto nulla d’illecito! Boh! Mi sa che devo rientrare in Italia». La cosa suonò strana, ad Aquilino, tanto che gli domandò per quale data fosse fissata la comparizione davanti al giudice. Non sapendo rispondere a quella domanda, ovviò chiamando a casa: gli rispose la moglie dicendo che c’era il maresciallo dei Carabinieri ancora in casa. Serafino si fece passare il sottufficiale che, con tono intimidatorio, gli domandò dov’era.
Serafino rispose di essere all’estero, badando bene di non fornirgli alcun particolare.
Il sottufficiale gli ordinò con stizza di rientrare immediatamente in Italia se non voleva che lo andassero a prendere in modo coatto.
A quelle parole Serafino trovò ovvio chiedere che cosa fosse successo di così grave da fargli assumere un simile tono.
al milite, involontariamente, sfuggì: «Cose gravissime!». Serafino domandò nuovamente di cosa si trattasse.
Il sottufficiale rispose che non poteva dirgli nulla, in quanto la cosa non rientrava nel suo mansionario.
Serafino rimase a lungo in silenzio, poi disse al Maresciallo: «Mi dia un paio di giorni per sistemare alcune cose, poi parto per l’Italia e mi presenterò alla prima caserma dei Carabinieri.»
Salutò e chiuse la telefonata. Aquilino aveva seguito con attenzione tutta la telefonata e intuì che si trattava di qualcosa di grave, ma non ebbe modo di capirne l’entità.
Dopo un lungo silenzio, Serafino espose all’amico la conversazione avuta con il Maresciallo. Serafino aveva la bocca impastata come la pasta delle pizze e le parole gli uscivano a stento, tanto che Aquilino lo invitò ad alzare la voce poiché trovava difficoltà a capirlo. Discussero per un po’ e, allo stesso tempo, ad Aquilino venne l’idea di chiamare sua moglie per farla indagare su quanto stava succedendo al socio.
La moglie si rivolse allo zio Cardinale che, nel giro di un’ora, la richiamò e la informò di aver conferito con il magistrato delle indagini preliminari, il quale gli confidò a sua volta che pendeva a carico di Serafino un mandato di arresto a conseguenza della dichiarazione fatta da un pentito che lo imputava di traffico internazionale di armi e droga.
Una volta terminata la telefonata, la consorte di Aquilino compose il numero di telefono dell’azienda in Slovacchia e riferì quanto gli aveva comunicato lo zio. Serafino osservava Aquilino mentre parlava e, al contempo, l’ansia di sapere saliva. Una volta che Aquilino finì di conferire con la moglie, mise a conoscenza l’amico su come stavano realmente le cose.
Serafino rimase a lungo in silenzio, come se gli fosse caduta in testa una tegola, poi andò su tutte le furie: «Ma questi sono pazzi?! Io non ho mai trafficato nemmeno un’aspirina, figuriamoci la droga e le armi!»
Serafino si trovò di colpo nell’abisso di un brutto pasticcio.
L’oracolo aveva parlato accusandolo di due reati gravissimi. Il pentito nelle sue dichiarazioni, “profeta e portatore in terra del verbo divino”, lo accusava di reati che non aveva mai pensato e tantomeno consumato. Era sicuro di quello che diceva, sempre che non fosse una sorta di dottor Jekyll e Mister Hyde; solo se ci fossero state tali condizioni l’oracolo avrebbe proferito il vero.
Aquilino iniziò a passeggiare avanti e indietro per l’ufficio, rifletté a lungo e poi consigliò all’amico di non fare ritorno in Italia.
Il socio lo guardò e disse: «La mia anima è pura come quella di un bambino appena nato, pertanto non ho nulla da temere dai magistrati!»
Aquilino lo guardò a lungo annuendo, poi rispose a quelle sue affermazioni: «Tu neppure immagini in quale guaio ti vai a cacciare, rientrando in Italia! Quello che sostiene un pentito, a causa della cecità del sistema giudiziario, è vangelo. Se io fossi in te, rimarrei qua fino a quando le cose non saranno chiarite.»
Serafino controbatté: «E come faccio a chiarire la mia posizione se non mi presento con un avvocato e mi difendo dall’infamia del pentito?!»
«Ricordati che l’infamia è come un virus che si insinua tra le cellule devastandole; poi ti renderai conto da solo della follia che stai per compiere» rispose Aquilino, dispiaciuto nell’immaginare l’amico precipitare nell’abisso della farraginosità del sistema giudiziario.
Non sapendo cosa dire, per dissuaderlo dal compiere quella che lui riteneva un’insana follia, prese a raccontargli una storia di un povero disgraziato che si era trovato a scontare dieci mesi di detenzione preventiva a causa di un pentito.

Continua…

Foto: dottorgadget.it


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