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Il razzismo: fenomeno ante Hitler mai scomparso dopo la sua caduta

Da Un Mondo Di Mondi

In questa settimana si ricorda la rivolta di Rom e Sinti contro le SS avvenuta 79 anni fa, il 16 maggio 1944, nel campo di Auschwitz/Birkenau. Unica rivolta documentata in un campo di concentramento nazista.
Come tutte le memorie dell’Olocausto anche questa dovrebbe servire per comprendere che il razzismo è cominciato prima di Adolf Hitler, non è finito con la caduta del nazismo e quindi  continua ancora oggi esercitato da enti pubblici, privati e singoli soggetti. Anche da quelli che si dichiarano contro il razzismo e celebrano le giornate della memoria.
Questo sembrerebbe un controsenso ma, in realtà, non lo è. Lo spiega molto bene il famoso sociologo e storico statunitense Immanuel Wallerstein in un suo saggio dal titolo L’albatros razzista, in cui racconta il meccanismo del razzismo prima e dopo il nazismo, come struttura della modernità capitalista.

Nel 1945, l’esperienza e l’orrore nazista terminarono. Hitler non aveva inventato l’antisemitismo, e nemmeno i tedeschi. L’antisemitismo è stato a lungo l’espressione interna più importante del profondo razzismo del mondo europeo, e la sua versione moderna è stata endemica sulla scena europea per almeno il secolo scorso. Chiunque paragoni Parigi a Berlino a questo proposito, prendendo come parametro il 1900, non penserebbe che la parte peggiore appartenga a Berlino. Non c’era un solo posto dove l’antisemitismo fosse assente durante la seconda guerra mondiale, anche negli Stati Uniti. Allora perché erano tutti così arrabbiati per il nazismo? Per lo meno dopo il 1945 la risposta balza immediatamente all’attenzione e non può essere ignorata. Era la “soluzione finale”. Mentre quasi tutti nel mondo pan-europeo erano stati apertamente e felicemente razzisti e antisemiti prima del 1945, quasi nessuno voleva che finisse in una soluzione finale. La soluzione finale proposta da Hitler era fuori di logica all’interno dell’economia mondiale capitalista. L’oggetto del razzismo non è escludere le persone, molto meno sterminarle. L’oggetto del razzismo è tenere le persone dentro il sistema ma come sub-umani, che possono essere sfruttati economicamente e utilizzati come capri espiatori politici. Con il nazismo accadde quello che i francesi chiamano “dérapage”: una furia, una scivolata, una perdita di controllo. O forse è successo che hanno tirato fuori il demone dalla scatola. […] Le truppe alleate arrivate nei campi di concentramento nel 1945 hanno avuto una vera scossa […]. Il mondo pan-europeo ha dovuto fare i conti con il demone che era fuggito dalla scatola. E lo ha fatto vietando l’uso pubblico del razzismo, tutto l’uso pubblico dell’antisemitismo, rendendolo poi un tema tabù. Gli scienziati sociali si sono uniti al gioco. Negli anni successivi al 1945, hanno iniziato a scrivere libri su libri denunciando la rilevanza del concetto di razza, l’illegittimità di assumere che le differenze in qualsiasi misura sociale dei gruppi umani possano essere ricondotte a caratteristiche genetiche. La memoria dell’Olocausto è diventata oggetto di studio nei programmi scolastici. I tedeschi, un po’ riluttanti all’inizio, hanno poi trovato un po’ di coraggio morale e hanno cercato di analizzare le proprie colpe e di diminuire la propria vergogna. Dopo il 1989, gli altri Paesi del mondo pan-europeo, senza dubbio con riluttanza, hanno iniziato a partecipare a questa ricerca. Potenze alleate come la Francia o i Paesi Bassi hanno iniziato ad ammettere le proprie colpe […]. La constatazione che il razzismo si era snaturato andando troppo oltre ha avuto due importanti conseguenze nel mondo pan-europeo dopo il 1945. In primo luogo, questi Paesi cercarono di enfatizzare le proprie virtù interne come nazioni inclusive […], in secondo luogo, e ancora più importante, c’era la necessità di riportare il razzismo asettico alla sua funzione originaria: tenere le persone all’interno del sistema, ma come subumani […]. Il periodo successivo al 1945 è stato, almeno inizialmente, un’epoca di espansione economica senza precedenti, accompagnata da una trasformazione demografica verso una radicale riduzione del tasso di natalità del mondo europeo. Questo mondo aveva bisogno di più lavoratori perché ne produceva molti meno che in passato. Iniziò così l’era di quelli che i tedeschi chiamavano cautamente lavoratori ospiti (“Gastarbeit”). Chi erano questi lavoratori ospiti? I popoli mediterranei in Europa non mediterranea, i latino-americani e gli asiatici in Nord America, i caraibici in Nord America e in Europa occidentale, gli africani, i neri e i sud-asiatici in Europa. E, dal 1989, le persone provenienti dall’ex blocco socialista che arrivano in Europa occidentale. Tutti questi migranti sono arrivati in gran numero perché volevano venire, perché potevano trovare lavoro e perché erano disperatamente necessari per far prosperare i Paesi pan-europei. Ma sono arrivati, quasi tutti, come persone emarginate economicamente, socialmente e politicamente.
Nel 1970, quando l’economia mondiale entrò nella lunga fase B di Kondratiev e la disoccupazione aumentò per la prima volta dal 1945, gli immigrati divennero un comodo capro espiatorio.
Le forze dell’estremismo di destra, assolutamente illegittime e marginali dal 1945, improvvisamente cominciarono a riemergere, a volte dall’interno di influenti partiti conservatori, a volte come strutture separate […]. I partiti dominanti non sapevano bene come gestire la rinascita di questi partiti apertamente razzisti. Erano preoccupati che il diavolo uscisse ancora una volta dalla bottiglia e annullasse la pace sociale dei loro Stati […]. Ancora una volta, gli scienziati sociali furono di scarso aiuto […]. Cercarono di proclamare le proprie virtù e di assolvere il mondo pan-europeo per il bene della loro retorica, quando il razzismo pan-europeo dopo il 1945 era, in realtà, un razzismo altrettanto virulento di quello precedente al 1933 o al 1945 […]. Le basi dell’Unione europea non sono né al di sopra di ogni sospetto né moralmente immacolate, perché i valori universalistici dell’Europa occidentale sono essi stessi incrostati di razzismo cronico e costitutivo del mondo pan-europeo. Per rendersi conto di questo e del fallimento delle scienze sociali nello smascherare questo razzismo, dobbiamo prestare attenzione alla storia del sistema mondo moderno dopo il 1492.

Il testo di Wallerstein ci fa capire che il razzismo non è un incidente di percorso ma, purtroppo, è un elemento costitutivo della società moderna capitalista. È per questo che i rom e tanti altri gruppi subiscono, ancora oggi, sistematicamente, il razzismo strutturale. Lo subiscono nonostante quanto previsto dalla Costituzione, dalle norme nazionali e internazionali di contrasto del razzismo e nonostante gli enti e le autorità che dovrebbero garantire la piena applicazione di queste leggi. Ma evidentemente tutto l’apparato istituzionale dell’anti-razzismo serve, soprattutto, per celare bene il razzismo.

Foto: unar.it


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