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Costume e SocietàLetteratura

Confisca e cause estintive del reato presupposto


Edil Merici

Di Enzo Nobile e Francesco Donato Iacopino

La dottrina, come pure la giurisprudenza, ha ampiamente discusso circa la possibilità di disporre la confisca dei beni solamente quando il procedimento si concluda con una sentenza definitiva di condanna o anche qualora esso si concluda anticipatamente, per il sopraggiungere di una causa di estinzione del reato (morte del reo, amnistia o prescrizione).
Tale problematica è sorta a causa del distinguo causato dal legislatore nello stabilire gli effetti che produce l’estinzione del reato sulle misure personali e su quelli reali.
E, al riguardo, si evidenza come il codice penale, relativamente agli effetti della sopravvenienza di una causa di estinzione del reato sulle misure personali, all’articolo 210, comma 1º, preveda che “l’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare l’esecuzione”, mentre all’art. 236, per quanto concerne le misure reali, “esclude, espressamente, che l’articolo 210 si applichi in caso di confisca”.
I sostenitori della tesi secondo cui la confisca può essere disposta anche in caso di sopravvenienza di una causa di estinzione del reato, ritengono che l’avverbio sempre contenuto nel secondo comma dell’art. 240 del Codice Penale, che disciplina le confische obbligatorie, comporterebbe l’operatività della confisca anche senza che sia intervenuta una sentenza di condanna.
Diversamente, secondo costoro, l’esclusione della pena accessoria della confisca consentirebbe al “corrotto, non punibile per qualsiasi causa, di godersi il denaro che egli ebbe per commettere il fatto obiettivamente criminoso”,ovvero minerebbe l’effettività del sistema penale.
Inoltre, sempre secondo tale corrente dottrinaria, il mancato riconoscimento del potere ablativo in capo al giudice, in caso di assenza di sentenza di condanna, porterebbe all’abrogazione, in via interpretativa, di quella parte del comma secondo dell’articolo 236 del CP, che deroga alla regola prevista dall’articolo 210 del CP.
Ciò indusse i fautori della tesi opposta, in primo luogo a controbattere che l’avverbio sempre contenuto all’arti. 240 del CP non è riferito alla sussistenza del potere ablatorio del giudice, bensì alle modalità di esercizio di tale potere.
Ovvero, nel senso che tale potere possa essere esercitato senza il preventivo accertamento della pericolosità della cosa da confiscare, essendo, la stessa, già stata presunta dal legislatore, mentre sul piano dell’applicabilità della misura in questione, sia il nº 1 che il nº 2 del 2º c. dell’art. 240 del CP, presuppongono l’intervenuta condanna.
Costoro, ebbero, altresì, a controbattere chela contestata interpretatio abrogans del secondo c. dell’art. 236 del CP è infondata giacché, pur mantenendo il divieto di applicazione della misura ablativa senza condanna, tale secondo comma produce, comunque, degli effetti, ovvero, da un lato, dà una veste giuridica all’ipotesi di confisca della cosa criminosa (art. 240, c. 2º, nº 2 del CP), dall’altro, consente, una volta intervenuta la condanna, di mantenere la confisca in caso di amnistia impropria o di altra causa di estinzione della pena.
Con specifico riferimento a tale problematica, altresì, si osserva che l’effetto distonico dei normali meccanismi che governano il funzionamento dell’ordinamento giuridico non può divenire strumento per l’annichilimento dei diritti dei cittadini da parte del nuovo diritto penale dell’efficienza o moderno che, anteponendo la prevenzione alla punizione dei reati, tra l’altro, acuiscono quelle deviazioni cui già accennava Sandro Furfaro, nell’opera La giustizia patrimoniale penale.
L’autore, infatti, dopo aver rievocato le tensioni discendenti dalla collocazione dell’art. 240 del CP tra le misure di sicurezza, evidenzia come, allo stato attuale, la confisca viene utilizzata “per reprimere senza punire”,svilendo il concetto di pericolosità che è elemento fondante e caratterizzante della misura, nonché generando una confusione concettuale tra repressione e prevenzione che rende arduo il coglierne la differenza.
Anche la giurisprudenza, come già inizialmente si è fatto cenno, in ordine alla dibattuta questione della permanenza o meno del potere ablativo in capo al giudice in caso di sopraggiungimento di una causa estintiva del reato, si è collocata su due posizioni contrastanti.
Difatti, accanto alla corrente maggioritaria che nega la sussistenza del potere ablativo, ve n’è, praticamente da sempre, una seconda che l’afferma.
A tentare di dirimere tale contrasto sono anche intervenute le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione che, con due distinte sentenze, hanno affermato che non è applicabile la pena accessoria della confisca in caso di sopravvenienza di una causa di estinzione del reato facendo proprie le argomentazioni della dottrina in tal senso.
Però, le sezioni unite, con la sentenza del 2008, pur rimanendo all’interno del solco tracciato dalla precedente pronuncia del 1993, mantenendosi in linea con la moderna concezione del diritto penale dell’efficienza evidenziarono sia l’anacronismo della soluzione da essa adottata rispetto all’evoluzione del sistema processuale dopo il 1988, che rispetto al sistema precedente attribuisce al giudice maggiori poteri in ordine all’accertamento dei fatti, sia l’immoralità delle conseguenza di tale soluzione.
Osservazioni, queste delle Sezioni Unite, assolutamente prodromiche al suo successivo e contestuale invito rivolto al legislatore di emanare una nuova norma che, nel rispetto del principio di riserva di legge, preveda l’applicazione della confisca anche in mancanza dell’emissione di una sentenza di condanna occasionata da una causa estintiva del reato.

Foto: studiotorcello.it


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