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Attualità

Il desiderio di morte e le “notizie calate con il cucchiaino”

Pensieri, parole, opere… e opinioni


Edil Merici

In quanto naturale antitesi al miracolo della vita, il concetto di morte dovrebbe essere un tema con il quale la specie umana, complice la sua capacità intellettiva, dovrebbe aver imparato a fare i conti da qualche milione di anni a questa parte. Eppure, a giudicare dall’ossessività con cui il tema è stato ripreso dai media nell’ultima manciata di giorni, verrebbe da pensare che l’ineluttabilità del distacco e l’elaborazione del lutto siano elementi con i quali la società contemporanea deve ancora familiarizzare.
Ho voluto appositamente mantenere il più blindato silenzio sulla scomparsa di Silvio Berlusconi nei giorni caldi del cordoglio e del commiato ma, anche a mente fredda, devo ammettere di aver trovato esacerbato fino all’inopportuno quanto è stato detto e fatto per l’imprenditore e politico meneghino. Al netto del suo attivismo politico e della sua capacità imprenditoriale che hanno certamente contribuito a rendere l’Italia il Paese che è oggi (ad analisti e sociologi dire se in meglio o in peggio) non riesco ad accettare che alla mobilitazione di massa usata per il fondatore di Forza Italia faccia da contraltare il silenzio riservato invece nel corso della storia ad altre altrettanto (per non dire più) importanti cariche dello Stato o rappresentanti della società civile. Non sta a me (né intendo) affermare che Berlusconi non meritasse quanto è stato fatto in sua memoria, a cominciare dai funerali di Stato pagati con i soldi dei contribuenti, ma non riesco a perdonare che il morto di serie A Berlusconi abbia fatto passare quasi del tutto sotto silenzio la scomparsa di un altro grande italiano, quel Francesco Nuti che ha cambiato invece il modo di intendere il cinema ed è stato tra i protagonisti di una rivoluzione culturale passata ingiustamente sotto traccia che lo proietta di diritto nel Pantheon dei più importanti nomi dello spettacolo.
Ancora una volta la colpa di tale disparità non la imputo alla società civile quanto al filtro attraverso il quale essa legge il reale, la categoria maledetta del giornalismo di frontiera che calcola a tavolino cosa sia importante e cosa no, cosa valga la pena celebrare e cosa invece può rimanere a prendere polvere nell’ultimo cassetto del dimenticatoio.
A dimostrazione che è proprio vero che tutto il mondo sia paese, si tratta di quello stesso atteggiamento tenuto, a livello locale, in occasione della tragica scomparsa di Caterina, Giusy e Giovanni, le cui circostanze sono state spiate con morbosità a qualunque livello, stuprando il dolore dei famigliari con un cinismo imbarazzante. Medesimo cinismo con il quale, sempre per rimanere nel nostro comprensorio, si è corsi alla ricerca del particolare macabro in occasione del suicidio avvenuto a Siderno qualche giorno più tardi, la cui eco ha addirittura prodotto doppioni nei giorni successivi creando non poco scompiglio tra lettori sempre più disorientati. Colpa di un giornalismo locale che non sa più cosa raccontare?
Sì, ma non solo locale, se è vero com’è vero che sono state spese intere giornate (e ne vengono spese altrettante ancora oggi) ad analizzare ogni dettaglio della tragedia del sommergibile Titan e della sorte beffarda che ha fatto spendere a cinque persone 250.000 $ per andare a morire.
Sull’altro piatto della bilancia i dimenticati: quei morti di serie B di cui abbiamo scoperto i cadaveri solo giorni e giorni dopo, mentre i loro resti tornavano a galla per un breve istante dopo che l’onda anomala del clamore mediatico dei morti che era stato scelto di raccontare si era infranto a riva lasciando al suo passaggio interventi di finto cordoglio e coscienze sporche. Cadaveri (in)visibili fisicamente, come quelli dell’ennesima tragedia del mare di cui nessuno ha scelto di parlare, o figurativamente, come quella di due uomini di cultura di cui si è scelto di scrivere in qualche trafiletto nella pagine degli spettacoli che, pure, hanno segnato rispettivamente l’infanzia e l’adolescenza di migliaia di giovani in tutto il mondo, come quel sognatore che si ritrovava a “conversare” con loro attraverso le loro opere tra le mura protette della sua cameretta e che oggi che scrive queste parole ricordando con nostalgia quei momenti eccezionali.
Lo so, gira che ti rigira anche oggi ho fatto lo stesso discorso, finendo con l’appiopparvi la solita pappardella moralista che rischia anche di non rispettare la linea che ho sempre sognato di dare a questo giornale.
Ma, se è vero che repetita iuvant, mi auguro che l’analisi di questo rovescio della medaglia di cui ho già parlato in altre occasioni sulle colonne di questo giornale possa raggiungere qualche lettore in più e stimolare quella coscienza critica che obblighi la mia categoria (quella dei giornalisti) a capire che è finito il tempo dell’utente che si accontenta delle “cose calate con il cucchiaino”.

Foto: sapere.virgilio.it


GRF

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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