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Attualità

La fine dell’estate e il letargo del calabrese

Pensieri, parole, opere… e opinioni


Edil Merici

Con l’arrivo di settembre, per quanto le belle giornate consentano ai più temerari di continuare ad andare al mare e si abbia ancora l’opportunità di incontrare qualche vacanziere dell’ultimo minuto, l’estate può dirsi bella che finita anche nel nostro comprensorio. Dopo un mese e mezzo di attività frenetica i ritmi rallentano, si ricomincia a pensare alla scuola e una buona fetta delle attività imprenditoriali con sede sul territorio si concede qualche giorno di ferie. Non si faccia tuttavia l’errore di pensare che questo fazzoletto di terra affacciato sullo Ionio entri in una sorta di letargo che comporti la totale paralisi di ogni attività.
Nel corso di quest’estate mi è capitato di parlare con più di una persona che, attraverso le proprie parole, anche se calabrese trapiantato all’estero, si fa paladino di questa strana idea per la quale chi ha scelto di rimanere nella Locride sia una sorta di figura fiabesca che si spacca la schiena in estate per poi trascorrere il resto dell’anno tappato in casa, a vivere di rendita vegetando sul divano dinanzi ai programmi televisivi del pomeriggio. Non c’è servizio essenziale che tenga: per queste persone che si sono sommate ai numeri impressionanti dell’esodo Calabrese, che hanno trovato “nutrimento” (fisico e spirituale) in altri lidi d’Italia (o del mondo), la Calabria, in inverno, è utopia moresca (nel senso di Tommaso Moro), in cui la produttività si ferma, le strade si svuotano e la natura si riprende i propri spazi. Il calabrese residente in Calabria “lavora solo in estate” e, alla fine dei conti, per queste persone che invece lavorano tutto l’anno, è anche per tale motivo che questa Regione va a rotoli. Impegno sociale e politico, in autunno e in inverno, non se ne registra, tutto si paralizza nell’attesa che si finiscano di contare i soldi racimolati durante l’estate. Il locrideo, in definitiva, è un po’ come l’orso che si rintana nel suo cantuccio con la sua scorta di ghiande in attesa che le belle giornate soppiantino il freddo.
All’atto pratico (chi risiede a queste latitudini lo sa bene), la realtà è ben diversa. Settembre è infatti il periodo dei bilanci e, come anticipavo, per qualcuno, è anche quello delle ferie tardive dopo un’estate a servizio dei visitatori. Dopo aver sfoggiato il suo vestito della festa, la Locride si toglie i tacchi a spillo e il vestito patentato e, in pantofole e maglietta, si mette a studiare il fatturato estivo per capire come affrontare l’anno che verrà. Le sue giornate, in realtà, non saranno troppo diverse da quelle estive, ma se in estate i ritmi serrati la obbligheranno a fare le ore piccole sei giorni su sette, durante l’autunno i rapporti di forza si invertiranno, concedendole una sola giornata piena contro sei giornate di magra alla settimana. Durante l’inverno le imprese continueranno a produrre esattamente come fatto durante l’estate, con la sola differenza che il fatturato ammonterà alla metà rispetto a quello estivo e le manifestazioni culturali e sociali continueranno a essere organizzate per fornire un’occasione di svago a chi il sabato sera cerca di staccare la spina dopo una settimana di lavoro.
Insomma, vorrei che fosse chiaro a chi, lasciando questa terra, ha abbracciato una visione distorta della realtà, che questo territorio, in inverno, non si ferma come Milano si desertifica per i quindici giorni di agosto, ma semplicemente rallenta i propri ritmi tenendo comunque quelli che Milano ha durante l’inverno, con l’ovvio distinguo che per venti attività commerciali presenti nella capitale economica d’Italia qui ce ne sono due… Dire con la saccenza di chi ha lo stomaco pieno che qui si lavora solo d’estate è paragonare l’inverno della Locride ai giorni di ferie di Milano, è sostenere la tesi che qui si è compiuta la scelta di fermare i paesi durante l’inverno perché ciò che si produce durante l’estate è sufficiente a farci vivere di rendita, è non rendersi conto che, in realtà, qui si finisce con il lavorare molto più di quanto si lavori a Milano, ma che l’ovvia disparità di servizi e opportunità non concede al calabrese che sgobba di dare quell’immagine di produttività né di vivere allo stesso livello di benessere del milanese che fa altrettanto.
È per evitare di fare questa fine, in fondo, che ve ne siete andati, ed è perché sapete che qui ci sarà sempre qualcuno pronto ad accogliervi nonostante i calci in bocca che siete pronti a sferrargli che continuate a tornare…

Foto: focus.it


GRF

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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