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L’imprescindibilità della dialettica per la costruzione della verità

Le riflessioni del centro studi


Edil Merici

Di Arianna Fermani – Docente dell’Università degli Studi di Macerata

La centralità della dialettica nel pensiero aristotelico è stata ampiamente evidenziata, in particolare, da Enrico Berti, che mostra come tale disciplina svolga una funzione epistemologica ed euristica cruciali nell’impianto dello Stagirita. Peraltro, come si ricorda in Topici, VIII 1, 155 b 7-13, il filosofo e il dialettico vengono a coincidere: per quanto riguarda lo schema, la ricerca è la stessa per il filosofo e per il dialettico, per quanto riguarda invece la forma dell’indagine essa è molto diversa, perché nella dialettica è necessario il rapporto con un’altra persona che venga convinta, mentre per il filosofo, una volta che le premesse del sillogismo sono vere e note, l’accettazione di un eventuale interlocutore è del tutto indifferente. Nel pensiero dialettico, dunque, risulta imprescindibile la presenza dell’altro e la verità stessa scaturisce, proprio come avviene in tribunale, dall’ascolto di entrambe le parti in causa, come si ricorda in Metafisica III, 1, 995 b 2-4: “È inevitabile che si giudichi meglio dopo aver ascoltato tutte quante tesi contrastanti, proprio come avviene nelle controversie.”
Peraltro non bisogna mai dimenticare, come ha fatto Guido Calogero, che il pensiero greco in generale e quello logico più nello specifico traggono origine da una dimensione costitutivamente dialogica e agonistica: “lo storico della logica è ormai riuscito a scorgere come ogni singola posizione della logica classica nasca da particolari situazioni semantiche della mentalità greca, in funzione delle diverse esigenze di significare, convincere, dialogare, battagliar discutendo.”
Affermare che la verità si costruisce insieme, peraltro, significa anche riconoscere “il bagaglio di competenze derivanti all’uomo greco dal vivere, di fatto, entro una comunità della parola in cui vari contesti e varie situazioni, non solo istituzionali o squisitamente politiche (l’assemblea o il tribunale, momenti significativi e frequenti nell’esperienza di ogni cittadino, ma anche, ad es., i simposi), erano l’occasione per assistere o prender parte a dispute e discussioni pubbliche”. La logica, in questo senso, si costituisce e si dispiega all’interno dell’orizzonte della polis, senza la quale essa risulterebbe parimenti impensabile e inutile. Il parlare e il pensare bene, infatti, compiti di quell’animale politico e dotato di logos che è l’essere umano, si configurano come un’impresa costitutivamente politica sia, per così dire, a monte, sia a valle: a monte nel senso che il logos (nella duplice accezione di parola e di discorso) si origina proprio nel contesto della comunità di cui l’essere umano ha bisogno (in quanto autosufficiente), al fine di ragionare e comunicare in modo corretto ed efficace; a valle perché l’uso appropriato del logos è funzionale al corretto sviluppo di quella comunità di parlanti che è la polis e alla sua fioritura, determinata anche dall’utilizzo appropriato dell’arte della parola in ogni contesto pubblico.
Come ha osservato Giorgio Colli, infatti: “Aristotele, se ha scoperto la dialettica, non ha però inventato il gusto agonistico della discussione, che è proprio della natura greca, e in Atene diventa eccelsa espressione di una cultura… Discutere in Atene non era facile (lo testimoniano Platone e Aristotele con le loro notizie) ed è lecito pensare che molti partecipanti a questi scontri acquistassero un’incredibile prontezza ed elasticità nel collegare molteplici elementi astratti, dominando sinotticamente l’intreccio.”
Ragionare bene, parlar bene, in questo senso, svolgono dunque anche una evidente funzione etica, oltre che persuasiva. Non stupisce affatto, in questo quadro, il fatto che i Topici siano stati considerati, ad esempio da Von Arnim, come il primo nucleo dell’etica aristotelica. Più nello specifico va ricordato come lo stesso tema della verità, chiamato a estendersi variamente all’in-terno di tutto l’Organon, sia dotato anche di una evidente ricaduta etico-esistenziale. Verità, infatti, significa anche e, per certi versi, prima di tutto, dire la verità e dirsi la verità allo scopo di diventare persone sincere e autentiche. Questo spiega anche perché, per concludere, si possa dire che etica e logica possono essere considerati come “una sola e medesima cosa: un dovere verso sé stessi. Esse celebrano la loro unione nel segno del supremo valore, in quello della verità, cui si contrappone dall’una parte l’errore, dall’altra la menzogna”.

Foto di Formella_21

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 30/06/2023


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