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Attualità

I pericoli dell’assuefazione alla criticità

Pensieri, parole, opere… e opinioni


Edil Merici

L’assuefazione alla criticità è uno di quei sentimenti che mi ha sempre spaventato. Mi procura un senso di forte angoscia quando guardo con un sorriso amaro l’ennesimo brutto risultato della Ferrari in Formula 1, mi fa sentire solo quando penso alla delusione procuratami dal comportamento di una persona della quale una parte recondita del mio io già mi aveva detto di non fidarmi e mi terrorizza quando si unisce alla rassegnazione di un popolo che si sente ormai stanco di lottare.
Nel fine settimana è tornata prepotentemente agli onori della cronaca locale la condizione della sanità comprensoriale. Con le dimissioni del primario di cardiologia Vincenzo Amodeo, infatti, la Locride pare destinata a rinunciare all’ennesimo servizio essenziale già in passato offerto a singhiozzo e solo per la buona volontà dei professionisti del locale nosocomio ma, leggendo gli articoli di giornale e le dichiarazioni di addetti ai lavori e cittadini che cercano timidamente di opporsi a questa ennesima criticità è evidente che stia emergendo un atteggiamento differente rispetto a quello tenuto in passato.
Se fino a oggi, in difesa della sanità locridea, avevamo infatti visto mobilitazioni di piazza e una sinergia tra società civile e istituzioni tale da farci credere possibile fermare l’affondamento di questo Titanic a mani nude, al netto di cambiamenti concreti nella gestione regionale del settore sanitario c’è un sentimento di rassegnazione inespressa che aleggia tra gli addetti ai lavori e i cittadini come lo spettro di marxiana memoria si aggirava per l’Europa. Le stesse parole dei comitati Casa della Salute, Difendiamo l’Ospedale di Locri e Corsecom Salute, ai quali va comunque riconosciuto il merito di essere stati primi a evidenziare l’emergenza e a sollecitare l’attivazione delle giuste contromisure scrivendo alle autorità competenti, per la prima volta a mia memoria prendono in considerazione la possibilità che l’ospedale possa essere chiuso, un’ipotesi contro la quale, in tempi più o meno recenti, sono state espresse parole al vetriolo e, nella foga dell’invettiva, sono state persino sacrificate diverse giacche sull’altare dell’orazione pubblica.
“È tempo di dire con chiarezza se si vuole chiudere definitivamente l’ospedale di Locri” affermano invece i comitati in questa occasione, aggiungendo immediatamente dopo di non essere più disponibili ad assistere alla “morte lenta” del settore. Non alla morte in senso assoluto, si badi bene. Ma alla “morte lenta”. Un po’ come dire, “abbiate almeno la decenza di non insistere con questo accanimento terapeutico, date un colpo di grazia, e datelo in tempi brevi”.
Ora, io non posso e non voglio credere che dietro le difficoltà dell’ospedale di Locri ci possa essere un disegno di satanica politica atta a lasciare 140.000 cittadini italiani privi di un presidio di sanità pubblica, né ritengo che in questi anni nulla sia stato fatto per invertire la tendenza perché altrimenti, a giudicare dalle condizioni date solo cinque o sei anni fa, oggi la struttura di contrada Verga avrebbe dovuto veramente sembrare un castello deserto e infestato. Eppure siamo ancora qui a parlarne, molti servizi vengono erogati regolarmente, in alcuni settori abbiamo scoperto anzi con piacere che la qualità delle prestazioni è vicina all’eccellenza e si continua a in qualche modo a parlare di strategie di salvataggio.
Il problema, tutt’al più, è il piglio. Alla giacche strappate, infatti, si sono sostituiti i timidi “gradiremmo che…” e i questuanti “se proprio non si può, potreste gentilmente almeno…” e questa è una cosa che non va bene affatto. Perché se lo scoramento ci fa abbassare la testa dinanzi a un diritto che dovrebbe essere garantito non dal signorotto locale, dal sindaco amico o dalla politica Regionale, ma dallo Stato che, per garantire l’applicazione di quanto sancito dalla Carta Costituzionale, ci chiede il pagamento di laute tasse, allora almeno si cominci a insistere per l’istituzione di una dittatura, così sapremo pacificamente di avere solo doveri ma avremo anche la garanzia che, per sfruttarci fino all’ultimo giorno della nostra vita, una visita di leva periodica sarà assicurata…

Foto: danea.it


GRF

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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