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Attualità

Il borgo della Locride che viveva nel futuro

Pensieri, parole, opere… e opinioni

Edil Merici

Ho sempre trovato la polemica relativa all’accoglienza quanto di più sterile possa produrre la società contemporanea. In un tempo in cui siamo a non più di 24 ore di viaggio dal capo opposto del pianeta e in cui internet ha contribuito ad annullare le distanze, la diffidenza nei confronti del diverso è la dimostrazione lampante di quanto l’evoluzione tecnica abbia fatto un balzo in avanti troppo grosso per pretendere che quella sociale cui siamo chiamati possa starle appresso.
Grazie al mio lavoro, soprattutto nell’ultimo periodo, ho avuto la possibilità di conoscere un mucchio di realtà diverse del comprensorio e non smetto mai di rimanere affascinato dalle singolarità che realtà sociali apparentemente vicine possono esprimere se messe a paragone con quelle sussistenti nei paesi confinanti.
Ma nessuna realtà, me lo si permetta, è come quella che ho trovato a Camini. Il modello di integrazione messo in piedi dall’Amministrazione Comunale per mezzo dell’impegno giornaliero della Eurocoop Jungi Mundu ha permesso al borgo di fare un balzo sociale in avanti di almeno mezzo secolo, creando una realtà sostenibile e funzionale che poggia sulle fondamenta di una cosa banalissima: la solidarietà. Grazie al suo modello d’accoglienza, Camini è riuscito a compiere in una manciata di anni un piccolo miracolo: ha scongiurato la desertificazione cui stava inesorabilmente andando incontro e sovvertito il destino gramo toccato a tantissime realtà montane comprensoriali.
Nonostante si trovi a un’ora dall’ospedale, non ci siano nei suoi pressi grandi attrattori socio-culturali né abbia alle spalle una storia tale da potergli dare prestigio, il paese è sempre più spesso scelto come sede stabile da tantissime persone che stanno contribuendo attivamente a invertire la tendenza del calo demografico. Mi riferisco a stranieri in fuga da una vita che non può essere definita tale, e che a Camini hanno ritenuto di trovare le condizioni ideali per poter ricominciare pur provenendo magari da grandi capitali del mondo arabo o africano (che, al netto di ciò di cui siamo convinti, sono tante e spesso ricche di comodità che noi ci sogniamo, esattamente come non possiamo comprendere che cosa significhi avere sì un ospedale funzionale a due passi da casa, ma non avere diritto di accedere alle cure per questioni politiche). Ma mi riferisco anche a qualche italiano, magari ex residente, che si è reso conto di quanto facile sia dare una svolta a gomito alla storia e di che potenzialità possa nascondere quel piccolo borgo da cui si era ritenuto di non avere altra scelta se non fuggire.
Passeggiando per le strade del paese mi è venuto naturale paragonare la situazione di Camini a quella di un centro che, per estensione e conformazione territoriale, gli somiglia moltissimo, ma si trova all’altro capo della Locride: Sant’Agata del Bianco. Anche in questo caso siamo a una bella distanza dall’ospedale e anche in questo caso la via d’accesso non è delle più felici da percorrere. In questo caso, però, abbiamo i palmenti, Saverio Strati, i poeti contadini e la rigenerazione urbana realizzata a suon di murales che hanno saputo esaltare la bellezza dei luoghi grazie a una straordinaria intuizione dell’illuminato sindaco Domenico Stranieri… eppure a Sant’Agata vivono un pugno di persone, il borgo si anima solo in corrispondenza delle visite guidate e di quella straordinaria realtà culturale che è divenuta nel tempo il Festival Stratificazioni e, per stessa ammissione del primo cittadino, sul futuro del paese si addensano di giorno in giorno nubi pesanti.
Non mi si fraintenda: auguro quotidianamente a Sant’Agata, dove ho lasciato un pezzo di cuore in occasione di una visita effettuata durante la primavera dello scorso anno, un futuro florido, e sono certo che l’applicazione coatta di un modello di ripopolamento realizzato attraverso l’inserimento del borgo nella rete dei comuni del Sistema di Accoglienza e Integrazione probabilmente non funzionerebbe esattamente come non l’ha fatto in tanti altri centri d’Italia.
Il punto, piuttosto, è un altro: possibile che Camini non sia ancora stato esaminato come caso di studio (come ad esempio è stato fatto con la vicina Riace, dove pure il sistema si è rivelato estremamente fragile, tanto da essere di fatto morto con l’avvio dell’inchiesta Xenia) per comprendere se davvero il futuro del nostro Paese, checché ne dicano i nostri miopi politici, possa essere nella multiculturalità?
Io ho la certezza che la crisi economico-sociale perenne nella quale viviamo terminerà proprio con l’accettazione di vivere in una realtà globalizzata e il fatto che nella zona più depressa d’Europa ci sia un tale modello di sostenibilità sociale dovrebbe costituire un vantaggio non indifferente per lo sviluppo di questo comprensorio e dell’intero Paese.
Ho il dubbio, però, che prima che possano insorgere le condizioni in cui lavorare concretamente su questo modello sia politicamente conveniente passerà ancora un mucchio di acqua sotto i ponti…

Foto: studenti.it

GRF

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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