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Costume e SocietàLetteratura

Il battibecco con Elisabetta

Storie d’altri tempi

Edil Merici

Di Francesco Cesare Strangio

«Signora Elisabetta, cerchi di capirmi – disse il direttore dell’Ufficio Postale – non possiamo lasciare più quella porta. O la mettete voi oppure la installiamo noi e ve la detraiamo dall’affitto.»«Che detraete dall’affitto? – controbatté Elisabetta – Se devo mettere la porta di ferro, provvedo io e non voi!»
Il direttore salutò e mosse verso l’ufficio.
«Marco, hai capito come ragionano? Mi costringono a cambiare la porta, ma l’affitto rimane tale e quale.»«Ascolta Elisabetta, ci penso io a trovare un fabbro che costruisca la porta.»«Allora ci pensi tu?»«Certamente! Sappi che io mi occuperò del solo montaggio.»«Ti raccomando di non spennarmi. Non per nulla, per via dei tuoi cugini che stanno all’Università, dopo la morte di mio marito non ce la passiamo tanto bene.»«Stai tranquilla, non ci faccio la cresta sulla porta. Mi pago il meno possibile.»«La faresti la figura… siamo figli di fratello e sorella.»«Vedo che ancora te lo ricordi!»«Che cosa vorresti dire? Ti risulta che non porto rispetto?»«Scherzi? Io non ho mai detto questo né tantomeno ho pensato una cosa del genere.»«Così mi piace!»«Elisabetta… Fammi capire, si tratta solo della porta o dobbiamo fare altro? Dicono che i ladri hanno praticato un buco nel soffitto. Non lo devono riparare?»«Tu credi che gli aguzzini della posta lo ripareranno? Sono convinta che gira e rigira alla fine lo debba aggiustare io.»«Per giusto toccherebbe a loro.»«Adesso lo vedi questo film!»«Ti domandavo perché se devono pagare loro, è un conto, se tocca a te, la musica cambia»«In più o in meno?»«Certamente in meno.»Finito di beccarsi, Elisabetta rientrò in casa.
«Madonna mia, che vipera. Per una lira si farebbe ammazzare. Guarda come lascia il cortile. Avrebbe bisogno di essere ristrutturato. Se non le cade addosso, la serpe non fa un bel niente. Questa stronza porta dentro di sé il sangue del Lodovico. La zia era un altro pianeta. Ogni volta che ci vedeva, ci riempiva di doni. Questa per non spendere ti dà l’acqua del pozzo giacché non le costa nulla… roba da non credere.»Si erano fatte le 11 e stava per avvicinarsi l’ora di pranzo.
Marco salì sulla Guzzi e, dopo averla avviata, partì in direzione di casa. Arrivato a casa, Marco trovò Argo fedelmente al suo posto a guardia del tesoro.
Portata la moto nella baracca che faceva da garage, tirò fuori l’Ape della Piaggio e la controllò da cima a fondo. L’inizio del nuovo lavoro gli dava un pò di respiro sul piano economico.
Una volta verificata l’efficienza dell’Ape, entrò in casa e iniziò a preparare il pranzo. La sera prima, non avendo avuto voglia di sparecchiare la tavola, se la ritrovò piena di bottiglie di birra vuote e briciole di pane dappertutto.
Il ventilatore, attaccato al soffitto, girava accompagnato da un fastidioso fruscio; il televisore era acceso e senza volume. La cucina era satura dall’odore di cipolla e di pomodori marci. Argo, dall’olfatto di cane, rimase in attesa sulla porta.
«Porca miseria, lo senti pure tu quest’odoraccio? Su, vieni a darmi una mano!.»
Argo fece per entrare e ritornò nella posizione di prima.
«Fammi aprire tutto.»Una volta aperta la finestra prese i pomodori e le cipolle e li portò nell’orto e li mise assieme ad altro materiale organico in stato di fermentazione.
Come per incanto, quindici minuti dopo, i piatti e le pentole splendevano. Con la stessa determinazione pulì il pavimento e poi, con un panno bagnato, fece brillare la tovaglia di plastica, colore del cielo, che copriva il tavolo.
«Andiamo Argo, dobbiamo attendere dieci minuti affinché il pavimento si asciughi.»
Nel frattempo, i due si recarono sotto il pergolato di uva fragola per rilassarsi. Il pergolato era pieno di grappoli di uva, che brillavano al sole come tante piccole stelle nelle notti d’estate. Marco allungò il braccio e prese un grappolo d’uva.
Un gruppetto di api, che stava banchettando con il dolce succo dei chicchi d’uva, tolse il disturbo velocemente. L’aria era dominata dall’odore pungente del frutto della vite; Argo, scodinzolando, preferì recarsi verso l’ingresso di casa, ove si mise seduto comodamente.
Una volta asciugato il pavimento, Marco entrò e mise sul fuoco la solita grande padella senza manico, capace di contenere quattro fette di carne. Quando l’olio raggiunse una certa temperatura, Marco prese la carne dal frigo e la mise in padella, al contatto l’olio incominciò a scoppiettare come tante caldarroste.
«Su Argo, entra! Non farti pregare!»Argo lentamente guadagnò il suo posto alla destra dell’amico. Nella ciotola di plastica fumavano due delle quattro fette di carne.
«Non mi dire che te li devo tagliare? Madonna mia bella, devo prendere atto che sei invecchiato…»
Marco impugnò il coltello e tagliò la carne a piccoli pezzi: Argo mandò giù i bocconi di carne lentamente.
«La vecchiaia, come la fanciullezza, mette vizi. Ho la vaga impressione che da oggi in poi dovrò farti da cameriere. Solo che ci dobbiamo mettere d’accordo sullo stipendio. Non pretenderai che lavori gratis? Sappi che mi rivolgerò ai sindacati!»
Il cane si alzò sulle gambe posteriori e appoggiò le anteriori al bordo del lavandino.

Foto: siracusatimes.it

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