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“Bob Marley – One Love”: La rivoluzione pacifica della musica

Edil Merici

Di Beatrice Macrì

Dopo I diari della motocicletta, che racconta la storia di Ernesto Che Guevara e dopo Bohemian Rapsody che ci racconta l’ascesa dei Queen e la vita di Fred Mercury, siamo invitati nelle sale cinematografiche ad assistere alla pellicola Bob Marley- One Love che accomuna entrambi i titoli precedenti sia quanto al carattere rivoluzionario e leggendario del protagonista, sia quanto al posto di rilievo nel panorama musicale dell’epoca di cui trattasi. In un clima di guerra fredda, neocolonialismo e cammino verso la liberazione delle colonie dei Paesi cosiddetti in via di sviluppo, dove nascono protettorati che appoggiano governi locali talvolta dispotici se non proprio dittaoriali.
Prima colonizzata dagli inglesi, poi sostituiti dagli Stati Uniti alla fine della seconda guerra mondiale, il sistema di dominazione coloniale, vista la crescente maturità politica e democratica della Giamaica, comincia a vacillare.
Siamo nel 1976 e la Giamaica sta vivendo una competizione politica che rischia di trasformarsi in una guerra civile.
È in questa parentesi storica che si inserisce l’idealismo anti-sistema di cui sarà protagonista il movimento Rastafari e in particolare Marley che, educato da cristiano, decise di abbracciare questa dottrina imperniata sull’idea che l’imperatore etiope Hailé Selassié fosse il Messia della Chiesa ortodossa d’Etiopia. Fu proprio uno dei missionari di questa fede a divenire il mentore di Marley.
Il Rastafarianesimo è, in sintesi, una religione monoteista diffusasi negli anni ’30 ed erede del Cristianesimo che considerava il suddetto imperatore il Gesù Cristo nella sua seconda venuta sulla terra come annunciato nel libro dell’Apocalisse della Bibbia.
Dal punto di vista politico, il Rastafarianesimo sarà un movimento che diffonderà nel mondo la musica raggae di cui Bob Marley fu il principale esponente, fino a farla diventare un vero e proprio culto. Questo genere costituisce dal 2018 Patrimonio Immateriale dell’umanità Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura.
Marley inneggia al pacifismo e al rifiuto della violenza cercando di coinvolgere i giovani giamaicani e di diffondere un messaggio di pace nel mondo. Le sue tournée otterranno grande plauso anche in Europa.
Il 1976 è l’anno in cui esce il disco Rastaman Vibration, canzone che contiene un potente messaggio di unità e di risveglio spirituale adottando un’ottica positiva sulla vita. L’espressione ripetuta più volte nel brano è I and I che incoraggia ad abbandonare un approccio negativo alla vita e a far spazio a un giorno positivo mirante a un nuovo inizio. I and I è quindi un’espressione tipica giamaicana per dire Me and You o You and Me quindi semplicemente noi in una illuminante prospettiva di unione e umanità. Importante è anche l’amore per Jah, dio che guida e protegge attraverso la spiritualità. Altro motivo conduttore è lo slogan Irie Ites che significa Tutto va bene, tutto è a posto per vivere una vita armoniosa e per lavorare per un futuro migliore.
Torniamo alle elezioni politiche che devono svolgersi nel Paese, che vede competere da un lato il Primo Ministro in carica esponente del Partito Nazionale del Popolo, Michael Manley, e dall’altro il referente del Partito laburista giamaicano, Edward Seaga. Il primo di vocazione socialista che aveva statalizzato le industrie di esportazione tentando la redistribuzione della ricchezza ai più poveri. E, il secondo all’opposizione che assoldava gangster locali. Per alleggerire le tensioni fra le due fazioni politiche, il Primo Ministro Manley organizza un concerto, ma, prima che questo si tenga Bob, la moglie Rita e il loro manager Don Taylor subiscono un attacco da gruppi armati composti da ignoti. Nell’attentato Rita e Taylor riportarono gravi ferite. Bob se la cavò con ferite al petto e al braccio. Il motivo dell’agguato non poteva che essere di matrice politica essendo il concerto considerato come propaganda per il Primo Ministro Manley. Il concerto si tenne comunque e Marley si esibì come da programma. Tuttavia rimanere in Giamaica risultava piuttosto pericoloso per la vita del giovane Rasta, che volò a Londra perché in Giamaica costituiva una voce un po’ scomoda.
Bob era a Londra quando nel corso di una partita di calcio notò di essersi ferito a un alluce. In realtà non si trattava di un’innocua ferita, come fu più tardi diagnosticato, ma di un melanoma che col tempo progredì fino a colpire il cervello.
Nonostante l’aspra diagnosi, Bob organizza, dopo le tournée europee, un nuovo concerto in Giamaica dal titolo One love peace concert per arrestare le ostilità tra i due partiti. Così, data la sua indole e il suo carisma, Marley riuscì a far sì che i due referenti si incontrassero sul palco e si stringessero le mani. Era il 22 Aprile 1978. Marley e il suo oppositore Seaga, salgono sul palco. È il tripudio. È una scena questa per la quale il regista ci riserva le immagini originali di Bob e di quello storico concerto. Fu un giorno, quello, in cui si respirò un’atmosfera diversa come rilevò anche la stampa estera, che ha indotto i tanti Rastafariani a cantare senza sosta per la pace mostrando come con l’impegno di ciascuno  (e non di tutti) per sottolineare che la collettività esiste quando ci sono più unità che concorrono e ognuno è parte attiva e fattiva con l’obiettivo di un mondo che, anche come dice Imagine di John Lennon, diventi un’unica entità (the world will be as one).
Un mondo senza guerre per il potere, senza guerre peri i confini, senza guerre giuste, concetto che all’inizio di questo Millennio è diventato sponsor di legittimazione dei vari focolai di guerra in cui si combatte talvolta per esportare la democrazia.
Il concerto fu un grande successo perché foriero di un grandioso messaggio, in un crescendo che culminò con l’esibizione di Marley che concluse dicendo: «Voglio solo stringere le loro mani e mostrare alle persone che resteremo uniti.»
Questa affermazione celava in realtà un messaggio ben più concreto che da un lato era una speranza di pace per la sua Giamaica, dall’altro significava celebrare i valori universali di fratellanza e umanità.
Non possiamo concludere prima di esserci soffermati sulla scena in cui Bob canta una canzone sulla quale rifletteva da tempo: Redemption Song. Canzone di redenzione che invita a liberarsi dalle schiavitù mentali (Solo noi stessi possiamo liberare la nostra mente). Il brano è stato definito come una sorta di testamento spirituale, un capolavoro universale, quasi folk e lontano dal raggae, in cui sono celati, in una melodia malinconica il dolore da un lato e la speranza dall’altro e tutto il disagio dell’uomo come singolo e dell’umanità globale. È il 1979 e Bob sta soffrendo a causa del cancro e il suo messaggio è una preghiera corale che ha l’obiettivo di condurre a una rinascita spazzando via pregiudizi e fantasmi che attanagliano le nostre menti. Così la musica assume una dimensione intimista intrisa di sacralità. Una sacralità non sacra dal punto di vista religioso ma corale in un appello all’intera umanità per un futuro migliore.

Foto: rollingstone.com

Redazione

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