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«Il lockdown ci ha fatto comprendere l’importanza della bellezza»

Un anno dopo il primo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, che ha fatto scattare il lockdown nazionale per cercare di arginare il diffondersi del Covid-19, abbiamo imparato a familiarizzare con la crisi di diversi settori lavorativi dovuti alla pandemia. A pagare uno dei prezzi più salati, a nostro avviso, sono stati tuttavia gli operatori della cultura. Per cercare di comprendere quanto questo mondo sia oggi in difficoltà e immaginare quale strada sia il caso di percorrere per farlo rinascere, abbiamo parlato con Maria Teresa D’Agostino, giornalista ed esperta del settore, oltre che ideatrice del blog di informazione culturale Apostrofi a Sud.
Da operatrice della cultura della Locride, quali pensi che siano le criticità del settore emerse nell’ultimo anno?
Molti hanno cercato modi alternativi di svolgere ugualmente iniziative culturali sfruttando le dirette streaming, che hanno avuto successo ma hanno finito anche con l’accavallarsi e non avere lo stesso scopo delle controparti in presenza. Per questa ragione c’è chi ha deciso di non percorrere questa strada, come il Caffè Letterario Mario La Cava di Bovalino, anche se le scelte più dolorose sono certamente state fatte da chi organizzava queste iniziative con la prospettiva di una remunerazione.
A tale proposito, a me vengono in mente le presentazioni dei libri.
Sì, certamente non realizzarle ha rappresentato una grossa perdita per gli autori, ma io allargherei il discorso a tutte le manifestazioni al chiuso. Le rassegne culturali o i convegni che, anche se finanziati con poco, hanno rappresentato una perdita per gli operatori e, ancora di più, lo spettacolo dal vivo e il cinema.
Proprio per sensibilizzare su questo tema la scorsa settimana c’è stata la manifestazione Facciamo luce sul teatro, che ha evidenziato come la categoria più colpita dalla pandemia sia stata quella degli attori, soprattutto quelli non inseriti nelle grandi compagnie.
Esatto, che io affianco ai musicisti che fanno musica nei locali il sabato sera o durante le cerimonie. Sono proprio queste categorie che, in questa fase, hanno più bisogno di supporto da parte del Governo, esattamente come gli elettricisti, gli operai, gli operatori del service che supportano gli artisti durante i concentri e che, in linea generale, sono stati completamente dimenticati.
C’è stata la parentesi idilliaca dell’estate, che ha permesso di realizzare belle manifestazioni  all’aperto. Ma quanto ha aiutato, quel periodo, a supportare al settore?
Materialmente poco, perché comunque le rassegne (come quelle del teatro all’aperto) sono state più brevi e gli ingressi ridotti affinché venissero garantite le distanze. Certo, in considerazione delle norme anticovid da rispettare il successo di pubblico è stato strepitoso e quel ritrovarsi, anche se rispettando le distanze, ha avuto un valore superiore rispetto al solito.
Quanto pensi che sia stata grande la perdita morale ed emozionale che siamo stati costretti a subire con la mancata organizzazione di eventi nel nostro territorio?
Enorme. Abbiamo perso tantissimo dal punto di vista della ricchezza interiore, emozionale, della condivisione della bellezza… Probabilmente il mondo stesso ha perso bellezza, se pensiamo all’arte come al momento più importante di condivisione. Durante un’intervista che ho avuto il piacere di fargli, Gabriele Salvatores mi ha detto che un degli elementi che potrebbe farci rinascere è proprio la magia dell’arte, perché ne abbiamo bisogno, e questa pandemia ci sta affamando dal punto di vista morale esattamente quanto lo sta facendo sotto l’aspetto economico. L’unica fortuna che abbiamo è che queste magie hanno la forza di ripartire in maniera istintiva e sono certa che, non appena i cinema riapriranno, ritroveranno immediatamente tutto quel pubblico che ha voglia di farsi incantare all’interno della sala buia, così come, quando potremo tornare a teatro, parteciperemo in massa alle rassegne, che creano un momento di grande condivisione. La gente vuole uscire dal meccanismo del web, per quanto ritengo opportuno che alcuni elementi che abbiamo scoperto in questo anno vengano integrati nelle manifestazioni tradizionali, perché possono amplificare quel senso di comunità che vogliamo ritrovare.
Speri, insomma, che ci troviamo alle porte di una nuova età dell’oro del mondo culturale?
È più di una speranza, perché l’essere umano cerca costantemente questi elementi per stare bene con sé stesso. Certo, adesso c’è bisogno del sostegno economico e degli incentivi, ma dopo le grandi crisi c’è sempre stato un nuovo sviluppo. Starà a noi cavalcare l’onda comprendendo che il sistema sociale che avevamo creato non funzionava a dovere e che dobbiamo adottare una nuova idea di sostenibilità ambientale e uno stile di vita meno consumistico e più legato al concetto di bellezza.
Ma gli operatori del settore sono pronti ad abbracciare questa nuova filosofia?
Le strutture culturali più solide penso di sì, mentre agli altri serverà ancora un periodo di elaborazione che terminerà solo quando, riprendendo gli eventi in presenza, gli operatori si renderanno conto di quali elementi, scoperti durante la pandemia, siano da recuperare, e quali comportamenti, invece, sia meglio evitare.

Foto: avis-legnano.org

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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