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“La storia di Campo Collina” e le qualità della Generazione Z

Ho sempre creduto nelle potenzialità della Locride e, ancora di più, nelle capacità dei suoi giovani. Il nostro territorio, vuoi per il minor numero di risorse disponibili, vuoi per quel retaggio magnogreco che ci rende molto ingegnosi e un po’ sognatori, produce in serie ragazze e ragazzi brillanti, in grado di smentire ogni giorno la critica ottusità di chi, sentendosi autorizzato dall’avanzare dell’età, scuote mestamente il capo dinanzi ai giovani d’oggi.
Eppure, una di queste giovani d’oggi è Elisabetta Libera Spanò. Si è maturata la scorsa estate al Liceo Linguistico Mazzini di Locri e ha scritto un libro, La storia di Campo Collina e di quel tale che non ne sapeva nulla che, raggiunto il numero di preordini fissato dalla casa editrice in crowdfunding Bookabook, ha conquistando il diritto di trovare spazio negli scaffali delle librerie. Dopo aver perorato la causa del romanzo non solo per spirito campanilista, ma anche perché sicuro delle qualità del libro e della sua autrice, che avevo già avuto il piacere di conoscere, la scorsa settimana ho finalmente ricevuto la mia copia del romanzo, che è inutile dire ho letto con grande interesse.
Avevo già avuto modo di leggere opere di giovani del nostro comprensorio, rimanendo sempre piacevolmente sorpreso dalla qualità della scrittura e dalla capacità di trattare con naturalezza temi anche delicati, ma credetemi quando vi dico che, con La storia di Campo Collina, siamo dinanzi a qualcosa di completamente differente.
Il romanzo parla di Armando Pio Diotallevi, che si trascina verso il suo 18º compleanno affrontando le giornate con un’apatia che sfiora l’autismo. Armando Pio (ci tiene a farsi chiamare così) mantiene dei rapporti sociali con i propri coetanei solo grazie allo sforzo erculeo che i suoi amici Sara e Silvio effettuano quotidianamente per ancorarlo alla realtà, adora una nonna che ha occhi solo per il nipote più piccolo e viene denigrato persino dai genitori, che hanno assunto come cardine del proprio comportamento la volontà di conformarsi alla società che li circonda. E questa società è quella di un capoluogo di provincia in declino, una grande città del centro-sud che assomiglia in tutto e per tutto a una periferia e ne porta anzi con orgogliosa rassegnazione le cicatrici, che peraltro ci sono molto familiari (una viabilità claudicante a causa degli eventi climatici, un ospedale che non funziona…). In questo contesto, un incontro inaspettato prima e un scambio di battute poi risveglierà Armando dal torpore in cui ha sempre vissuto, convincendolo a cambiare il mondo.
Nelle 152 pagine del romanzo vengono descritte con una lucidità disarmante le tensioni emotive cui è soggetta la Generazione Z. Armando rappresenta quel tipo di giovane che agli adulti piace criticare, eppure Elisabetta ci fa comprendere che il problema non è da attribuire asetticamente alla corruzione sociale verso cui stiamo inesorabilmente scivolando, ma proprio a noi adulti, che non diamo i giusti stimoli ai ragazzi (i genitori) o veicoliamo le informazioni attraverso la lente distorta del nostro giudizio personale (l’insegnante di storia). Nell’occhio di questo ciclone, invece, c’è un macrocosmo di bisogni, emozioni e conoscenze a cui servono pochi, semplici stimoli per emergere, e che possono rendere ogni Armando Pio Diotallevi un Bernard Dika, una Greta Thunberg o anche un Simone di Torre Maura. Con il suo stile evocativo ed efficace, che attinge con appassionante naturalezza a un bagaglio culturale enorme, Elisabetta ci ricorda che i tanto bistrattati giovani d’oggi sono la prima generazione che, resasi conto di quali siano i problemi del mondo, sta trovando il coraggio di denunciarli. Traendo spunti da fatti di cronaca realmente avvenuti (non è un caso se ho citato Simone di Torre Maura) Elisabetta ci fa sperare che questi ragazzi possano cambiarlo davvero, il mondo, condensando in un romanzo agevole e divertente un’enormità di spunti di riflessione.
Se a questo aggiungiamo la trattazione delicatissima di problemi di pressante attualità come l’omofobia, la parità di genere, il razzismo e l’importanza del senso civico il valore del romanzo diventa incalcolabile. Ma, siccome Elisabetta non vuole regalarci un semplice libro, ma una vera e propria esperienza, butta sul piatto anche una bella sfilza di citazioni (musicali, letterarie, cinematografiche…) e un’atmosfera degna del miglior Niccolò Ammaniti.
Si approda al finale certi che ogni argomento abbia avuto il giusto spazio e che non ci sia nemmeno un aspetto rimasto inespresso. Più che un romanzo d’esordio, La storia di Campo Collina sembra il romanzo dell’affermazione di Elisabetta, un libro che dovreste leggere perché in grado, oltre che di farvi riflettere su tutto ciò per cui ho già speso un fiume di parole, di migliorarvi la giornata.
Potete acquistarlo cliccando qui e fidatevi se vi dico che sarà una delle cose migliori che abbiate mai letto in vita vostra.
Scoprirete così di essere diventati fan di Elisabetta Libera Spanò.
Un’Autrice inconsapevole di esserlo.

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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