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La valle delle grandi pietre

Locride… e dintorni in Mountain Bike VII

Di Rocco Lombardo

La “Valle delle Grandi Pietre” ricade in un territorio affascinante e suggestivo caratterizzato da alcuni affioramenti rocciosi come le Pietre di Febo (870 metri), Pietra Lunga (874 m), Pietra Stranghiò (798 m), Pietra Cappa (819 m), le Rocche di San Pietro (578 m) e Pietra Castello (943 m), imponenti monoliti, chiamati localmente prache, che si elevano nei bacini delle fiumare Bonamico e Careri, modellati dal tempo e dagli agenti atmosferici, che costituiscono dei monumenti naturali di grande impatto, raggiungibili attraverso alcuni percorsi che si originano da Natile Vecchio e  da San Luca; da un punto di vista geologico fanno parte della Formazione di Stilo–Capo d’Orlando, la più importante ed estesa formazione sedimentaria dell’Arco Calabro-Peloritano, che si estende dalla Calabria centrale ionica sino ai Monti Peloritani in Sicilia, ove l’ecosistema risulta ancora miracolosamente intatto.
Una storia geologica di estremo rilievo che ha permesso di recente di entrare a pieno titolo a far parte dell’UNESCO Global Geoparks.
Il monolite di Pietra Cappa, sovrastante il borgo di Natile Vecchio, assurge a simbolo di questo territorio, occupa circa 4 ettari di terreno e, con i suoi 140 metri di altezza, risulta il più grande d’Europa, ha origini antichissime e appare citato già negli antichi monumenti medievali. Sul monolite aleggiano diverse leggende, legate alla lotta tra il bene e il male e all’origine del nome stesso di Pietra Cappa, che molti indicherebbero in una traduzione come cono rovesciato, in riferimento alla cavità interna presente nel monolite. Quel che è certo è il fascino assoluto del luogo, circondato da una fitta vegetazione di eriche, lentisco, mirto, corbezzolo, castagno, lecci, cespugli di menta e di origano, capaci di sprigionare profumi non intaccati ancora dalla mano dell’uomo.
Il punto di partenza del tratto più suggestivo dell’escursione odierna è il borgo di Natile Vecchio (328 m sul livello del mare), un piccolo centro abitato da poche anime.
Partendo infatti da Locri in gruppo, dopo aver costeggiato il tratto pianeggiante della Strada Statale 106 fino a Bovalino, imbocchiamo la Strada Provinciale 2 dir. seguendo le indicazioni per Careri. Dopo un paio di chilometri di falsopiano e alcuni strappi in salita, nei pressi dell’abitato di Natile Nuovo ci concediamo una breve pausa ristoro prima di  intraprendere la stradina Comunale di Natile Vecchio che, in lieve pendenza, attraversato il ponte sulla fiumara di Careri, si addentra tra campi coltivati, uliveti e distese erbose punteggiate da querce fino a raggiungere appunto la frazione abitata di Natile Vecchio; amministrativamente ricadente nel Comune di Careri, il piccolo borgo, alluvionato nel 1951, anche se dichiarato sfollato d’autorità, in realtà non fu mai del tutto abbandonato: tanto forte era l’attaccamento degli abitanti alle radici (il suo nome pare provenga dall’espressone nati-lì, nati sul posto) da vincere ogni imposizione. Da un pittoresco gruppetto di case strette, abbarbicate tra i declivi erbosi della valle della Fiumara di Careri e i boschi di querce e dalla piccola piazza, sovrastata da un antico e scenografico portale, si può godere di un panorama suggestivo che spazia nella vallata sottostante, da dove si dipanano alcuni sentieri del Club Alpino Italiano verso la montagna e. dopo aver doppiato le ultime case in cima a un’erta e lastricata salita, caratterizzata da considerevoli punte di dislivello, pieghiamo per un sentiero in costa fra coltivi, muri a secco e macchia mediterranea.
Il centro abitato è orami lontano, il sentiero diventerà d’ora in poi sterrato e pietroso e circumnavigherà l’intera valle, alcune brevi pause per rifiatare e rifornirci di acqua, ed eccoci immersi in un luogo affascinante e selvatico. A parte la presenza di alcuni ovili e le segnaletiche del CAI, la presenza dell’uomo è pressoché assente, i lecci sono prevalenti e fitti, sporadicamente lasciano spazio a piccole radure, il sentiero consente di esplorare una grossa fetta di questo habitat, è ben segnalato e battuto, oltre che dagli escursionisti, anche dai pastori della zona.
Dopo circa 30/40 minuti di aspra e impervia salita, si arriva in prossimità di un pianoro dal suggestivo effetto scenografico, infatti, come nelle migliori scene cinematografiche, due rocce prospicienti fanno da naturale sipario alla maestosa apparizione di Pietra Cappa; la toponomastica del Geopark, di recente messa a dimora, ci consente di apprendere notizie sul luogo e immortalare il tutto con le consuete foto di rito, un breve tratto in discesa ci consente di riprendere il tragitto, superando un biforcazione che indica a sinistra la traccia per le Rocche di San Pietro, mentre la direttrice di destra ci consente di estendere il percorso all’intera valle.
Tutti coloro che raggiungono le Rocche di San Pietro sono incuriositi dalle piccole grotte scavate in profondità nella roccia friabile, che su scala infinitamente ridotta, possono ricordare gliinsediamenti rupestri della Cappadocia, nella Turchia centrale; di difficile datazione, risalgono a un lasso di tempo compreso tra il VII e il IX secolo, quando dall’area ellenistica si verificò una vera e propria migrazione verso il Sud Italia di monaci basiliani.
Riguadagniamo in salita il sentiero, dove scorgiamo, ben allocate su alcuni alberi ad alto fusto delle postazioni per gli appassionati di birdwatching e, dopo un paio di chilometri sempre in salita, ci troviamo a un cancello forestale, che ci spalanca le porte di un fitto bosco, molto fresco, dove il tracciato diventa più facile e tranquillo e, a intervalli regolari, consente di osservare la sagoma di Pietra Cappa, incorniciata dai lecci e dalle querce, durante la discesa incrociamo in sequenza un gregge di capre e, cosa ancor più inusuale, tantissimi maiali neri d’Aspromonte che, indisturbati e per nulla infastiditi dal nostro passaggio, scorrazzano per la pendice boschiva.
Un grande tronco, folgorato e semi-abbattuto dalla furia di qualche temporale, ci consente di scattare qualche foto all’interno della grande cavità, da lì in poi un’eccitante discesa sterrata tra aghi di pino e fogliame lambisce i resti bizantini e i ruderi della Chiesa di San Giorgio e, quindi, confluisce nel grande alveo, completamente asciutto, della fiumara Bonamico; un grande abbeveratoio al fresco di rigogliose querce, su cui sgorga una freschissima fonte, ci permette di sostare e consumare una frugale merenda, quanto mai necessaria per concludere senza eccessiva sovraesposizione fisica il percorso.
Riprendiamo la salita pietrosa e disomogenea, che diventa adesso molto dura, i chilometri e le altimetrie accumulati si fanno inesorabilmente sentire, entriamo comunque in simbiosi con la natura circostante, un connubio ideale tra la roccia granitica e la vegetazione fitta, impariamo, nella grande fatica, a fare e dare spazio e tempo alla grande bellezza che impreziosisce il nostro sforzo, portandoci a incrociare in cima, la SP 2, che conduce a destra a Montalto e al Santuario di Polsi, mentre a sinistra scende ripidamente verso San Luca.
Ultima sosta per ammirare l’imponente Pietra Castello, conosciuta anche come Castello di Potamia, una rocca monumentale che viene citata dalle fonti storiografiche, tra tutte la narrazione che vide, nell’anno 953, le orde saracene spingersi nell’entroterra, oggi sanluchese, giungendo fino all’abitato montano conosciuto come Pietracucca, che esisteva poco più a valle di Pietra Cappa. Probabilmente il servizio di guardia, dislocato dagli autoctoni sulle sommità delle varie pietre presenti nella valle, aveva potuto avvistare e quindi allertare la popolazione dell’imminente assalto. E così fu battaglia fra i resistenti cristiani e gli aggressori saraceni!
La strada asfaltata e lastricata, finalmente in discesa, ci porta ad attraversare il centro abitato di San Luca e riguadagnare, dopo una decina di chilometri, la costa, riprendendo quindi la Statale Jonica fino al punto di partenza; insieme a Giuseppe Piccolo, Alessandro Caccamo e Giuseppe Pileggi abbiamo completato il suggestivo percorso ad anello, riuscendo a circumnavigare l’intera Valle delle Grandi Pietre, coprendo una distanza totale di circa di 80 chilometri con un dislivello altimetrico complessivo di circa 1.400 metri, in una calda mattinata di giugno, attraversando sentieri sterrati, boschi fittissimi, terrazzamenti in pietra, greti di grandi fiumare, luoghi magicamente suggestivi che la mano dell’uomo non è ancora riuscita, fortunatamente, a intaccare, con grande sforzo fisico ma ineguagliabile appagamento morale!

Redazione

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