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Costume e SocietàLetteratura

Un mondo sospeso tra i miti e i racconti di Omero

Stasi XVII - Ripercorsa con la memoria la storia di Ettore, Francesco Rossi arriva finalmente nella natìa Reggio Calabria, dove ritrova la vecchia mamma e, soprattutto, un paesaggio suggestivo che suscita in lui emozioni e ricordi d’infanzia.

Di Francesco Cesare Strangio

Tornato a Lamezia quattro anni dopo aver salvato la vita di Ettore, Francesco Rossi lo cercò invano per diverso tempo. Stava per mettersi in macchina, quando si avvicinò un giovane dal fisico longilineo e dal modo garbato di parlare che gli domandò cosa volesse da Ettore.
Finalmente si era aperta una breccia nel muro dell’omertà.
Si qualificò come l’uomo che gli diede soccorso a Cariati.
Il giovane lo invitò ad attendere dieci minuti che gli avrebbe fatto sapere.
Puntualmente arrivò e gli indicò il percorso, raccomandandolo di stare attento che a un incrocio c’era un giovane che lo attendeva.
Fece un paio di chilometri quando vide, sul ciglio della strada di un incrocio, un giovane, dal fisico taurino e rosso in faccia, che gli fece cenno di fermarsi.
Prontamente arrestò l’auto, il ragazzo si avvicinò e gli indicò la strada da prendere per arrivare alla casa di Ettore.
Fuori dal paese, dopo circa settecento metri di strada sterrata arrivò in una campagna, dove c’erano coltivate delle piante di ulivo che si slanciavano con forza verso il cielo.
All’arrivo trovò una signora vestita di nero, chiaro simbolo di un evento nefasto che aveva colpito la sua famiglia.
Le domandò di Ettore.
La donna, con la prudenza tipica di una matriarca, si avvicinò e, scrutandolo, gli chiese chi fosse.
Le rispose di essere la persona che aveva dato soccorso a Ettore nei pressi di Cariati.
La signora, avendo capito che si trovava difronte l’uomo che aveva salvato la vita di suo figlio, cambiò atteggiamento divenendo cordiale e ossequiosa.
Chiamò Maria ,che apparve sull’uscio di casa, era una giovane ragazza slanciata dal fisico asciutto, dotata di quella tipica bellezza delle donne mediterranee.
La madre, con il tono di chi comanda, le ordinò di andare da suo fratello e farlo venire, che c’era ad attenderlo un gradito signore.
Mezz’ora dopo comparve in lontananza, in mezzo alle piante, il giovane a cui aveva salvato la vita; quando vide il coetaneo che gli prestò soccorso, il viso s’illuminò di gioia. Si abbracciarono a lungo, tanto che lo stesso Rossi si commosse.
Passarono una giornata di festa, nel ricordo di quella notte e nell’indimenticabile generoso altruismo di Rossi.
Poco prima che le tenebre iniziassero a troneggiare sulla luce, salutò tutti e ripartì verso casa con il cofano stracolmo di damigiane di olio extravergine d’oliva. Era passato tanto tempo da quell’ultima visita fatta a Ettore.
Finalmente, a oltre due ore dalla partenza, nei pressi di Bagnara, apparve ai suoi occhi lo Stretto della Fata Morgana: un mondo sospeso tra i miti e i racconti di Omero.
Da piccolo ascoltava gli affascinanti racconti di suo nonno Francesco che, con magistrale passione, riusciva a stimolargli a tal punto la fantasia che, sotto gli oscillanti riflessi della luna piena, vedeva scivolare veloce sull’acqua dello Stretto la nave di Ulisse, animata dal possente vento di Eolo.
La magia di quei ricordi non cessò mai di produrre in lui delle forti emozioni, che lo seguirono sin dalla sua tenera età. Rossi aveva percorso la terra in lungo e in largo, ma nessun altro paesaggio riuscì mai a suscitare in lui le stesse emozioni generate dalle magiche immagini dello Stretto della Fata Morgana.
Anche quella notte la luna si specchiava sulle acque e le arcaiche sensazioni presero il sopravvento.
Con l’avanzare della notte, bussava insistente alla porta della sua coscienza il sonno.
Arrivato a Reggio Calabria, trovò la vecchia madre sull’uscio di casa ad aspettarlo.
La madre di Rossi, dopo la morte del marito, si era trasferita da Corigliano a Reggio, dove aveva vissuto dalla nascita fino a venti anni: sentiva il bisogno di terminare il suo cammino terreno nella casa dove era nata.
La madre, nel vederlo, lo accolse a braccia aperte.
Quante emozioni nel vederla attendere sull’uscio di casa che custodiva i ricordi di quando, finita la scuola, andava a passare l’estate dai nonni.
Essere lì gli indusse un sonno profondo, tanto da cancellare lo stress accumulato durante i quattro mesi che era stato in giro per il mondo.
La mattina si alzò e andò, com’era solito fare, al balcone che dava sullo Stretto. Quella posizione godeva di un ampio panorama, tra cui quello che comunemente a Reggio chiamano Hotel San Pietro, nome che si dà alla casa circondariale della città.
Dal suo balcone riusciva a vedere passeggiare, durante l’ora d’aria, i figli brutti che la società, per vergogna, tiene nascosti.
Erano quasi le dieci quando riuscì a mettersi in contatto con Barbara; voleva avere notizie se i tir fossero arrivati a destinazione.
Puntualmente le sue attese furono confermate. Le cose erano andate come previsto, i cinque tir erano a Berlino Est, toccava a lui fare quanto concordato con il generale e il responsabile delle importazioni. Gli toccava partire per Cipro, ma prima doveva chiudere il contratto con l’azienda siciliana.
Erano le otto di sera quando Rossi prese contatto con Don Ciccio Paterno della Provincia di Palermo. Fissarono un appuntamento per il sabato che doveva arrivare. Era martedì, non gli restava altro che godersi i tre giorni immergendosi nelle fredde acque dello Stretto.

Foto: ocean4future.org

Redazione

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