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Costume e Società

Il serial killer dalla doppia personalità

Generalmente le storie di cronaca ci fanno capire quale sia la linea di demarcazione tra il Bene e il Male, quella che nessuno deve mai superare. In ogni essere umano è presente quel naturale sdoppiamento che appare come la rottura dell’integrità della persona, come lo sdoppiamento della stessa coscienza umana. Un celebre romanzo che tutti conosciamo è quello dello scrittore Robert Louis Stevenson Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde: in questo racconto si parla di un avvocato londinese, Gabriel John Utterson, che investiga su episodi che avrebbero coinvolto il suo vecchio amico, il dottor Jekyll, e il malvagio signor Hyde. Questa storia ha assunto una tale importanza da far entrare nel linguaggio comune la definizione Jekyll e Hyde, a indicare una persona con due distinte personalità, una buona e l’altra malvagia; invece, in ambito psicologico, è diventata la metafora dell’ambivalenza del comportamento umano e anche del dilemma di una mente scissa tra l’Io e le sue pulsioni irrazionali.
Ma cosa succede nel mondo reale quando il Bene e il Male si trovano all’interno di uno stesso soggetto?
Ci caleremo in una storia di cronaca italiana contorta e raccapricciante, differente rispetto a quelle cui siamo abituati perché in questa vicenda parliamo di un unico soggetto che porta dentro di sé le due facce d’una stessa medaglia.
È il 1985 e, a quell’epoca, la minaccia non era l’uomo nero che ti portava via di notte in un sacco, ma un vero Mostro senza scrupoli, che avrebbe potuto attaccare chiunque, in qualunque momento. Questa è la storia di un uomo che ha commesso dei delitti inumani e che oggi è conosciuto come Il Mostro di Bolzano: il suo nome è Marco Bergamo.

Chi è Marco Bergamo

Marco Bergamo nasce a Bolzano il 6 Agosto del 1966, vive un’adolescenza molto difficile, segnata da un ritardo nel linguaggio da età infantile, l’obesità e la psoriasi. È da sempre un ragazzo introverso, ha pochi amici, non ama le compagnie numerose, ha vari passatempi tra cui le auto e la fotografia ma è anche un collezionista di coltelli, di ogni forma e dimensione. Consegue un diploma di scuola secondaria e svolge lavori manuali, è un uomo molto preciso e ordinato, tanto che cura il suo armadio in modo assolutamente perfetto: sugli scaffali e nei cassetti mette scatole di varie dimensioni e, dentro ciascuna di esse, oggetti dello stesso tipo. Svolge il servizio militare ma, nello stesso periodo, inizia anche a leggere riviste pornografiche senza però mai eccedere; con il passare del tempo sviluppa però qualche piccola perversione sessuale che lo porta a rubare indumenti intimi femminili; soffre di sonnambulismo e, soprattutto, con il passare degli anni, diventa sempre più erotomane; infine, all’età di 26 anni, subisce l’asportazione di un testicolo, questione che gli provoca tanta vergogna con conseguente chiusura in se stesso.

“Quello che ho fatto doveva essere fatto”

Nell’arco di 7 anni, precisamente tra il 1985 e il 1992, a Bolzano vengono uccise 5 donne. È il 3 Gennaio del 1985: la prima vittima è Marcella Casagrande, studentessa al primo anno dell’Istituto Magistrale, 15 anni, che viene trovata dalla madre in un lago di sangue, riversa sul pavimento nel corridoio della sua abitazione. Le sono state inferte numerose coltellate, una delle quali ha raggiunto la colonna vertebrale incidendo la decima vertebra; poi la ragazza è stata sgozzata. La seconda vittima si chiama Anna Maria Cipolletti, 41 anni, viene uccisa il 26 Giugno del 1985, è un’insegnante di scuola media dalla doppia vita: di giorno insegna, di sera incontra uomini a pagamento nel suo monolocale: viene uccisa con 19 coltellate. Il suo cadavere viene ritrovato senza indumenti intimi, probabilmente portati via dall’assassino, ma non ha subito violenza sessuale. Viene però ritrovato un foglietto con su scritto “Marco andato via”.
Dopo questi delitti ci troviamo al 7 Gennaio del 1992, quando viene ritrovato un terzo cadavere nel parcheggio di un’area di servizio: si tratta di Renate Rauch, 24 anni, professione prostituta; qualche giorno dopo, sulla tomba di Renate, viene ritrovato un bellissimo mazzo di fiori e un biglietto con scritto “Mi spiace ma quello che ho fatto, doveva essere fatto, e tu lo sapevi; ciao Renate”, firmato doppia M; gli inquirenti ipotizzarono subito che la doppia M della firma sia soltanto una ripetizione spavalda del nome dell’assassino. Il 21 Marzo del 1992 viene ritrovata esanime, in un piazzale, Renate Troger, prostituta di 18 anni: sul cadavere vengono inferte 14 coltellate, ma la causa della sua morte è un’altra: strangolamento e conseguente sgozzamento. La quinta vittima è Marika Zorzi, tossicodipendente e prostituta, uccisa all’interno di un’auto con 26 coltellate e scaricata agonizzante sul ciglio della strada il 6 Agosto del 1992. Marco Bergamo viene fermato il giorno del suo compleanno, quello stesso 6 Agosto del 1992, alle 6 di mattina; gli agenti sospettarono subito che sia lui il serial killer, in quanto sul sedile della sua macchina, accanto a quello del guidatore, riscontrarono macchie di sangue oltre che il documento dell’ultima vittima. Inoltre, al suo mezzo manca uno specchietto retrovisore che venne ritrovato sul luogo dell’ultimo delitto.

La “battaglia delle perizie”

Le prove sono concrete, perciò Marco Bergamo confessa, ma solo 3 dei 5 delitti, e anzi dichiara:

Marika Zorzi, quando ha visto che avevo un solo testicolo, non voleva continuare; le ho chiesto di ridarmi i soldi ma lei si è messa a urlare, così le ho dato due schiaffi, ma lei mi ha aggredito dicendomi di essere un figlio di puttana, solo questo ricordo.

Continua la confessione:

Con Renate Rauch ci sono andato solo per uscire dalla monotonia, invece di Marcella Casagrande ricordo solo che avevo le punta delle dita sporche di sangue, mi sono alzato e sono uscito.

L’avvocato della difesa può percorrere solo la strada dell’infermità mentale; la perizia psichiatrica d’ufficio su Bergamo viene affidata a Francesco Introna, direttore dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Padova: è il 25 febbraio del 1993, il Professore consegna le indagini preliminari al giudice, Edoardo Mori, nelle quali asserisce che l’unica soluzione possibile per il soggetto è l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario, perché l’imputato è incapace di intendere e di volere, quindi non punibile sotto il profilo penale. Il Pubblico Ministero, Guido Rispoli, non nasconde il suo disappunto e anzi afferma che “le conclusioni alle quali era giunto Introna cozzavano con i risultati delle indagini, giacché i delitti di Bergamo sembravano essere perfettamente premeditati e lucidamente eseguiti”.
Rispoli convoca, a questo punto, Enzo Conciatore, uno psicologo di Bolzano, che aveva seguito da vicino il lavoro di Introna, e gli chiede una perizia, ma arriva a conclusioni opposte: Marco Bergamo è perfettamente capace di intendere e di volere, e quindi la prospettiva è il carcere a vita.
Inizia la battaglia delle perizie, Introna, nella sua, annota:

Bergamo si presenta ai colloqui, discretamente ordinato nella persona, è disponibile, collabora senza difficoltà quando si parla di questioni generali. Quando si esplora la sfera sessuale Bergamo si chiude, non vuole parlare, si vergogna; il cardine della condotta criminosa è costituito da un grave sentimento di insufficienza sessuale che provoca sofferenza, incapacità di contatto con gli altri, tendenza all’isolamento e dipendenza passiva dai genitori; il sentimento di colpa è presente ma poco marcato; quello che ha compiuto è come se fosse stato compiuto da un altro; gli si chiede se è pentito per i 3 omicidi, sembra un po’ attonito, pare che non riesca a pentirsi per cose delle quali non si rende conto ma che tuttavia ammette, è stato lui ma non sa perché! Comunque si ritorni sui tre omicidi è costante il vuoto relativo ai momenti culminanti.

Dall’altro lato, Conciatore sostiene cose completamente diverse:

Bergamo veste con trasandatezza e con scarsa cura generale della persona, siede compostamente, lo sguardo è vivace e mobile, talvolta per alcuni istanti assume una fissità abnorme; correttamente orientato nel tempo e nello spazio, consapevole della natura delle imputazioni e del motivo dell’indagine peritale; le risposte sono quelle di una persona lucida, consapevole, dotata di normali funzioni percettive della realtà; soffre di un disturbo di personalità di tipo sociopatico, senza compromissioni delle capacità generiche e di adattamento all’ambiente socio-economico; un quadro morboso caratterizzato da parafilie, come l’esibizionismo e il feticismo; finge di non ricordare ma non è così, noto quando spesso il “non so” e il “non ricordo” siano utilizzati come tecnica difensiva da parte dell’imputato. C’è un elemento che depone decisamente contro i vuoti di memoria di Bergamo ed è il testo rinvenuto sulla tomba di Renate Rauch, firmato doppia M; l’uso delle locuzioni “dovere” e “dispiacere” testimoniava la piena conoscenza delle proprie pulsioni omicide e la consapevolezza del disvalore etico-giuridico dell’atto commesso; sapeva ciò che faceva e sapeva di sbagliare, era insomma capace sia di intendere che di volere.

Rispoli rilesse attentamente le due perizie, sembrava davvero che Introna e Conciatore avessero di fronte due sosia e si fossero convinti di aver esaminato la stessa persona. Per stabilire se Marco Bergamo fosse pazzo o lucido, i periti devono stabilire se i disturbi di cui soffre rientrino o meno fra quelli per i quali, secondo la dottrina, era contemplata l’incapacità di intendere e di volere. Introna allora fa leva sul sonnambulismo, la psoriasi e il tumore al testicolo: tutti elementi che giocavano a favore della forte instabilità mentale di Bergamo, il Professore rileva inoltre che “l’omicida è consapevole se raggiunge lo scopo con pochissimi colpi d’arma e non ha motivo di infierire con decine di fendenti”. La conclusione di Introna è quella di una forte dissociazione fra quel ragazzo che aveva ucciso a coltellate quelle donne e la controfigura che andava in gita con mamma e papà.
Secondo Conciatore, invece, i comportamenti tenuti da Bergamo in occasione dei tre delitti confessati devono essere classificati come sintomi di sadismo sessuale sotto forma di omicidi per libidine; diversi elementi depongono a favore di questa interpretazione: i preliminari organizzativi, i peculiari rapporti tra omicida e vittima, le caratteristiche degli omicidi, la loro ripetitività e lo stesso modus operandi, la particolare efferatezza sui cadaveri e la manipolazione feticistica finale sulle mutande delle vittime.
Prosegue Conciatore:

Questi delitti sono solo l’atto terminale di una serie logicamente interconnessa di azioni pregresse che nel loro sviluppo hanno determinato situazioni da omicidio di tipo volontario e da motivazione sadica.

Per Conciatore, Bergamo, nel momento in cui commetteva i fatti, possedeva i requisiti psichici dell’imputabilità, perciò la violenza con la quale aveva infierito sulle vittime sarebbe dovuta essere classificata come espressione di sadismo sessuale con componenti feticistiche.

L’udienza preliminare

Nell’udienza preliminare davanti al giudice, Edoardo Mori, l’avvocato di Marco Bergamo, forte della perizia psichiatrica di Introna che aveva decretato l’incapacità di intendere e di volere, chiede il proscioglimento del suo assistito per totale infermità di mente, con l’applicazione di una misura di sicurezza temporanea presso il ricovero in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario. Rispoli si oppnse alle richieste del difensore, e chiede al giudice il rinvio al giudizio. Rispoli spiega che la perizia di Introna lascia molti dubbi e ricorda che, nella sua consulenza di parte, Conciatore era pervenuto a una tesi opposta, motivo per cui conclude che sarebbe necessario richiedere un terzo parere sulle condizioni mentali di Bergamo; Rispoli inoltre sostiene che “non sarebbe stato possibile ricorrere al rito abbreviato trattandosi di reati per i quali era previsto l’ergastolo”.
Il Giudice Mori, infine, osserva:

Il caso non risulta definibile allo stato degli atti, sia perché l’imputato non ha confessato tutti i reati sia perché la perizia d’ufficio è stata contestata dal consulente tecnico del Pubblico Ministero, con valide argomentazioni. Lo studio criminologico di casi analoghi di maniaci sessuali che commettono serie di omicidi dimostra che il maniaco sessuale, una volta iniziato a delinquere, continua ripetitivamente con una ricerca delle occasioni favorevoli, con attenzione a non farsi catturare.

La prima udienza si conclude con l’audizione di vari poliziotti e di alcuni civili che integrano il quadro delle prove a carico di Bergamo, inoltre anche la madre di Marika Zorzi dichiara che la figlia non era una prostituta, ma che lavorava in un’impresa di pulizie.

Due a uno per l’accusa

La seconda giornata del dibattimento si svolge il 28 Settembre e viene dedicata interamente alla ricostruzione dei delitti Rauch e Cipolletti; di fondamentale importanza è la testimonianza del Maresciallo dei Carabinieri, che asserisce che il centro di investigazioni scientifiche dell’Arma aveva confermato l’identità fra la scrittura di Bergamo e il messaggio trovato sulla tomba della Rauch; poi è la volta del Medico Legale, che sostiene che i colpi fossero stati sferrati con una notevole violenza e che l’assassino quasi si fosse divertito a punzecchiare la vittima, prima di affondare il coltello. In merito alla morte di Anna Maria Cipolletti l’Ispettore di Polizia, Alfredo Baldini, ricorda la scena del crimine attraverso una minuziosa analisi criminodinamica; dal suo canto l’Avvocato di Bergamo cerca di intervenire a difesa del suo assistito chiedendo all’Ispettore di Polizia Baldini se fosse a conoscenza della cifra economica che la Cipolletti si faceva pagare per le prestazioni e la risposta di quest’ultimo è “tra le 100 e le 150mila lire”, affermazione che segna un punto per la difesa poiché Bergamo all’epoca, è disoccupato e non può procurarsi una cifra del genere. Inoltre, non corrispondono nemmeno gli appunti scritti dalla prostituta con l’età di Marco Bergamo perché nel 1983 l’imputato aveva solo 16 anni. A questo punto Rispoli cerca di rifarsi con l’autopsia eseguita da Daniele Rodriguez, che conferma la somiglianza del modus operandi con quello dei delitti confessati da Bergamo. Vengono poi ascoltati i due ex commilitoni di Bergamo, che aggravano la sua situazione, perché confermarono che soffre di sonnambulismo, di averlo colto in flagrante mentre rubava in un armadietto e che nel suo armadietto, avevano visto appese delle foto di un paio di ragazze in abiti provocanti.

Una violenza inutile

Il terzo giorno del processo tocca alla testimonianza di Giuseppe Barbareschi, che aveva effettuato l’autopsia sulla salma di Marcella Casagrande e, cercando di ricostruire la scena dell’omicidio, dichiara:

È uno dei peggiori delitti che abbia mai visto nella mia vita, tra l’altro una ragazza così giovane, davvero io stesso sono rimasto impressionato per diverso tempo; vi è di più, la dinamica di questo delitto dovrebbe essere definita lucida, intelligente e razionale da parte di una persona che conosce molto bene l’uso del coltello e l’anatomia umana. È una dinamica intelligente, perché è stata probabilmente studiata per evitare determinati effetti indesiderati come l’estrema mobilità del bersaglio e l’urlo della vittima.

Questa ricostruzione è un brutto colpo per la difesa; il Professore evidenzia inoltre che, dopo le coltellate inferte, la vittima era stata afferrata per i capelli in modo tale da immobilizzare il collo e procedere allo scannamento; anche Marcella Casagrande era stata sgozzata, così come Renate Troger. Dopo questa testimonianza, Marco Bergamo per la prima volta chiede la parola e, durante il suo intervento, specifica di non ricordare di aver afferrato per il collo Marcella Casagrande e nemmeno di aver infierito con varie coltellate. Il dibattimento riprende nel pomeriggio con il delitto Troger: viene ascoltata la sorella Brigitte, che ricorda la telefonata di un ragazzo di nome Marco che chiedeva di Renate; poi è la volta di due prostitute che affermano di conoscere Bergamo, una delle quali dice:

È un mio cliente, non chiedeva nessun rapporto sessuale ma di vedere la biancheria e di spogliarmi, che al resto pensava lui.

L’ultimo teste di accusa per il delitto Troger è il Medico Legale che, nella sua testimonianza dichiara:

La prima fase fu quella dello strangolamento, poi lo scannamento e, infine, 14 violente coltellate inutili, inferte sul corpo della donna dopo la sua morte.

Si precisa infatti che la morte era sopraggiunta per strangolamento.

«Sento dentro me una persona che vuole uscire»

Il quarto giorno del processo si passa all’audizione della mamma di Marco Bergamo che, impaurita, si limita a raccontare alcune abitudini della vita del figlio, ma molto più rilevante è l’audizione del padre Renato, che confermò di aver sequestrato i coltelli al figlio perché si sentiva più sicuro. Rispoli, allora, torna alla carica, cercando di far cadere l’alibi di Marco Bergamo per il delitto Troger del 21 Marzo 1992, sostenendo che quando lo stesso affermava di fare gli straordinari al lavoro in realtà mentiva ai genitori, per essere libero di agire senza dare spiegazioni. Si arriva infine alla parte più attesa del dibattimento, cioè l’interrogatorio di Marco Bergamo:

Io ammetto quello che ho già ammesso, in particolare quello che ho commesso, cioè i tre omicidi, in merito agli altri due io continuerò a dichiararmi innocente in quanto sono totalmente estraneo, queste sono le dichiarazioni che voglio rilasciare.

Poi lo stesso ammette di aver mentito più volte ai propri genitori raccontando loro di essere andato a lavorare e, infine, precisa ancora una volta di essere completamente estraneo ai delitti Cipolletti e Troger. L’Avvocato di Bergamo cerca di far emergere quella doppia personalità di Marco, di cui il consulente della difesa aveva ampiamente parlato nella sua perizia psichiatrica, con alcune domande: “Il coltello era per te come un secondo fratello? Ti dava senso di protezione?” La risposta di Marco è affermativa, poi l’Avvocato chiede cosa sentisse dentro di sé e Bergamo risponde di sentire una specie di seconda persona che deve uscire fuori; infine il Presidente, Martinolli, gli chiede perché avesse confessato due dei tre delitti solo in un secondo tempo, e Bergamo rispose di aver confessato sotto il peso delle prove.

Quattro perizie, quattro opinioni diverse

L’8 Ottobre è la giornata della guerra delle perizie. Vengono ascoltati 4 specialisti: Introna, che cerca di spiegare i motivi secondo cui Bergamo dovrebbe essere ritenuto capace di intendere e di volere; Conciatore, che considera Bergamo sano di mente; Antonio Codino, Professore presso l’Università di Bologna, consulente della famiglia Casagrande, la cui conclusione è la sanità mentale di Bergamo; Mario Di Fiorino, primario dell’Ospedale Giudiziario di Castiglione delle Stiviere e consulente di parte della difesa, che asserisce una grave patologia di Bergamo che potrebbe averlo condizionarlo ai fini della capacità di intendere e di volere, pur ritenendo che comunque il soggetto riusciva a prendere posizione verso i suoi disturbi, potendo quindi cercare di utilizzare la strategia che ritiene più opportuna.

Nessuna infermità mentale

La Corte si trova palesamente disorientata, per tale motivo il Presidente Martinolli decide di disporre una nuova perizia psichiatrica che venne affidata a tre professori: Francesco Bruno, Gianluigi Ponti e Ugo Fornari. L’udienza del 17 Gennaio del 1994 è completamente dedicata alla relazione dei professori, che scrivono: Nessun impulso refrenabile, nessuna traccia di infermità mentale, nessuna psicosi, nessuna nevrosi.
I professori non hanno dubbi: Bergamo era giunto alla perversione estrema, l’omicidio per godimento. Conciatore, consulente del Pubblico Ministero aveva visto bene, i tre professori sentenziano: “Nessuna infermità mentale”. Ormai, per Marco Bergamo si profila il rischio del carcere a vita. Il processo viene aggiornato al 7 Marzo del 1994, la discussione dura due giorni, ha inizio con la requisitoria del Pubblico Ministero e prosegue con l’intervento delle parti civili e le arringhe della difesa. Rispoli chiede la condanna all’ergastolo per aver commesso, con premeditazione, i 5 delitti; l’Avvocato Piccoli punta sull’incapacità di intendere e di volere dell’imputato e continua dicendo che mentre la responsabilità del suo assistito era da considerare pacifica per i delitti Casagrande, Rauch e Zorzi, per gli omicidi Cipolletti e Troger l’imputato aveva sempre sostenuto la propria innocenza e non c’era una sola prova che facesse pensare il contrario. In merito ai delitti confessati l’aggravante della premeditazione, per la difesa, non sussisteva.
Si chiede alla Corte di riconoscere il vizio di mente totale o parziale. I giudici della Corte d’Assise di Bolzano si riuniscono in Camera di Consiglio la sera dell’8 Marzo del 1994.

La sentenza

In nome del popolo italiano, la Corte d’Assise di Bolzano, nel procedimento penale a carico di Marco Bergamo, all’udienza dibattimentale dell’8 Marzo 1994, dichiara Bergamo Marco colpevole dei reati a lui ascritti, esclusa l’aggravante della premeditazione in relazione al delitto Casagrande, e lo condanna alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per 3 anni.

Un mese e mezzo dopo la condanna il padre, Renato Bergamo, si toglie la vita. Nel 2014, la Corte d’Assise di Bolzano si occupa nuovamente del caso; in una lettera indirizzata alla Corte d’Assise d’Appello, Marco Bergamo chiede un’applicazione retroattiva delle norme che consente, a chi come lui rischia l’ergastolo, di usufruire del rito abbreviato, che commuterebbe la pena dell’ergastolo in 30 anni di carcere. Rispoli sottolinea nella sua requisitoria:

Marco Bergamo non può vantare alcun diritto per un’eventuale applicazione retroattiva della norma sul rito abbreviato, in quanto la sua vicenda processuale è chiusa e la sentenza di condanna all’ergastolo è irrevocabile.

Marco Bergamo muore in carcere a 51 anni, il 17 Ottobre del 2017, per una grave infezione polmonare. In una sua confessione afferma:

Spesso, di notte, sogno di uccidere una donna; questa notte per esempio le ho dovuto mettere una bomba in bocca per ucciderla, due caricatori non sono bastati; la donna è un essere potente che può fare del male e che è difficile fermare; nei sogni, quando colpisco le donne, lo faccio al cuore e alla testa perché così si uccidono meglio, si colpiscono gli organi vitali!

Foto: fanpage.it

Vittoria Petrolo

Nata a Locri nel 1992 e cresciuta tra la costa ionica e quella tirrenica calabrese, finito il Liceo Scientifico ha intrapreso la strada della Giustizia, frequentando la Facoltà di Giurisprudenza prima a Catanzaro e poi a Caserta, sognando di indossare un giorno la toga. Amante del sapere ha frequentato corsi di Psicologia Criminale e Analisi della Scena del Crimine, ma ha frequentato anche corsi di Politica Forense e criminologia. Di recente è entrata nella International Police Organization e nella Counter Crime Intelligence Organization, di cui coordina la sezione italiana. Grazie a questa collaborazione ha scoperto il mondo della scrittura e che “mettere nero su bianco” le sue competenze costituisce un’eccezionale valvola di sfogo.

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