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Elisabetta Pozzi: «Tesmoforiazuse sarà un atto d’amore nei confronti del teatro»

Domani sera, giovedì 19 agosto, alle ore 21:30, presso il Teatro Greco Romano di Portigliola, andrà in scena, nell’ambito del Festival del Teatro Classico Tra mito e Storia, la prima nazionale de La festa delle Donne (con replica venerdì 20 agosto, alla stessa ora), prima produzione teatrale interamente realizzata nel centro amministrato da Rocco Luglio, frutto della collaborazione della Compagnia teatrale reggina Scena Nuda e di Fatti non foste. L’opera è l’adattamento, realizzato da Maria Pia Battaglia, di Tesmoforiazuse di Aristofane e rappresenta la fase conclusiva di un progetto sviluppatosi attraverso un laboratorio con dodici allievi del territorio. Per saperne di più sulla produzione e capire cosa aspettarci dalla messa in scena di domani sera, abbiamo intervistato la regista Elisabetta Pozzi.
Possiamo affermare che il progetto che sta alla base de La festa della donne era già in embrione lo scorso anno?
Sì. Già durante la scorsa estate, infatti, avevo organizzato a Portigliola un raduno di artisti che volevano confrontarsi su quale sarebbe stato il futuro della nostra professione dopo il Covid-19. Noi, infatti, viviamo di un lavoro che ha bisogno di pubblico con il quale vivere un momento di condivisione, che ci era stato sottratto per esigenze sanitarie. L’esigenza di domandarci cosa ne sarebbe stato di noi ha messo in evidenza queste problematiche cocenti e faticose da affrontare, che andavano da quali sarebbero stati i tempi e i modi utili a portare in scena qualcosa di nuovo a quali testi sarebbe stato più opportuno rappresentare. Abbiamo scoperto in quella sede che nessuno di noi intendeva abbattersi e che, anzi, quel tipo di confronto, ci aveva dato la carica utile a cogliere al volo l’opportunità di portare in scena un testo. Probabilmente, se non fossimo stati un gruppo spinto da questo tipo di sana follia, non saremmo mai riusciti a realizzare questo miracolo sia produttivo, perché fatto con pochi mezzi, sia sociale, perché in grado di aggregare un grande gruppo di persone che hanno lavorato con un entusiasmo, una carica e una vivacità uniche.
Perché la scelta è ricaduta proprio su Tesmoforiazuse?
Innanzitutto perché proprio a Locri c’è un Tesmoforio, luogo in cui si celebrava il culto di Demetra e Persefone, che nell’antica costa ionica si sentiva fortissimo, scoperto recentemente dall’archeologa Margherita Milanesio, che ha scritto un libro in merito e ci ha illustrato in maniera dettagliata le caratteristiche della struttura, per portare alla luce la quale ha scavato in prima persona. In secondo luogo perché si è concretizzata la collaborazione con Teresa Timpano e Scena Nuda, senza la quale non saremmo riusciti a realizzare senza fare troppi sacrifici questa messa in scena folle, che richiede la presenza sul palco di 18/20 attori.
Che, per altro, in diversi casi avevano anche altri impegni…
Per questo non esito a parlare di miracolo, dato che erano minime le possibilità di collaborare con le persone giuste, che avevano voglia di esserci, di realizzare qualcosa, di lavorare, di resistere, di non lasciarsi trascinare dagli eventi. Molti attori sono stati costretti ad andare e venire, eppure il gruppo è rimasto sempre compatto e Portigliola è divenuto ugualmente il luogo in cui ci si ritrovava per portare avanti il sogno di mettere in scena quest’opera. Io sono rimasta sempre qui assieme a mio marito, Daniele d’Angelo, che si occupa delle luci e delle musiche, a Francesco Biagetti che, in virtù della sua laurea in lettere classiche, si è rivelato una fonte preziosa di conoscenza, a Francesca Ciocchetti, che sarebbe dovuta rimanere pochi giorni, ma che è rimasta per sgravarmi di una parte dei miei compiti, a Barbara Esposito, a Silvia Salvatori che, oltre a imparare una parte, si è accollata anche l’impegno di realizzare i costumi per 20 attori con pochissimo budget… E poi si sono rivelati preziosissimi Elisabetta Femiano, che non sarebbe dovuta essere nello spettacolo e alla quale abbiamo invece assegnato una parte, tutti i ragazzi dell’Istituto Nazionale Dramma Antico, Gabriele Rametta, che interpreterà un personaggio complesso come Agatone. Tutti hanno avuto occasione di fare, mostrarsi e persino di divertirsi, perché comunque quello che andrà in scena sarà uno spettacolo che strapperà tante risate.
Ma che ci darà comunque modo di riflettere su tematiche anche attuali.
Esatto. Nell’intermezzo, infatti, si parla del tema della disuguaglianza di genere, di come la donna, nel corso dei secoli, sia sempre stato oggetto di vilipendio, cattiverie e violenze. Maria Pia Battaglia, che ha adattato il testo e a cui ho chiesto di far parlare il coro in dialetto calabrese, ha saputo come arricchire quell’intervento con considerazioni sul ruolo della donna oggi.
In tutto questo, c’è anche spazio per degli interpreti del territorio.
Si tratta di uno degli aspetti più interessanti del progetto, che si è sviluppato anche attraverso questo laboratorio di dodici giorni, al quale hanno partecipato una dozzina di persone, che abbiamo fatto esercitare nel canto e nella musica, permettendo poi a quattro ragazze del territorio di entrare a far parte del coro.
Insomma, la capacità aggregativa del teatro ha prodotto qualcosa di inedito per il territorio e dimostrato che l’arte può aiutarlo a raggiungere obiettivi importanti.
È un altro dei motivi per cui definisco questa esperienza miracolosa, e non tanto perché la Calabria abbia poco a che fare con la produzione teatrale, ma perché viviamo un momento storico in cui il settore sta attraversando una profonda crisi in tutto il Paese. Persino i grandi teatri stabili, dopo il periodo delle chiusure, si sono arenati e le attività teatrali, che non hanno più il supporto delle istituzioni e dei grandi sponsor, si reggono solo sulla grande energia dei lavoratori del settore. Ecco perché un’aggregazione come la nostra, può avere i requisiti per poter divenire una realtà affermata, anzitutto perché il gruppo è già molto coeso, quindi perché è partita in un momento difficile e in un territorio in cui prima non era stata tentata nessuna impresa simile. Certo, abbiamo avuto dalla nostra un luogo dall’incredibile potere aggregativo, il Teatro Greco-Romano di Portigliola, che è un magnete, attrae le energie e ti fa stare meglio. Un luogo che noi abbiamo voluto celebrare decidendo, durante la rappresentazione, di non utilizzare solo il palco, ma tutta la struttura. Gli attori, infatti, si muoveranno sulle gradinate, lavoreranno tra il pubblico e gli spettatori, per seguire la storia, dovranno spostare le sedie. Vogliamo mostrare lo spazio così com’è, senza sporcature, se non le luci che dovremo utilizzare per questioni di sicurezza. Anche le voci, vere protagoniste dei canti dal vivo, non avranno amplificazione, che in quel luogo davvero non serve. Vuole essere un atto d’amore, che permetterà al pubblico di vedere il teatro come non si era mai visto prima.
Qual è l’evoluzione naturale di questo progetto e a cosa può dare vita in un futuro sia prossimo sia remoto?
L’intenzione è quella di continuare, ma anche di procedere con cautela per non disperdere il patrimonio che abbiamo in mano. Per quanto riguarda lo spettacolo vorremmo riproporlo anche la prossima stagione, magari invitando le scuole in rappresentazioni organizzate in primavera. L’idea,  poi, è che a Portigliola si continuino a realizzare laboratori ogni anno nel mese di luglio, coinvolgendo gruppi di attori di zona, persone che vogliono frequentare il teatro perché lo amano o che hanno interesse a studiare, perché lavorando su Aristofane e Tesmoforiazuse, abbiamo scoperto che a Bova, la domenica delle Palme, viene realizzata una processione con due pupazze che rappresentano proprio Demetra e Persefone, particolare che nemmeno la gente del posto conosceva. Ecco perché continuare con questo progetto è importante, così come è fondamentale far conoscere questa realtà alle scuole, e non solo perché ci sono a un tiro di schioppo il parco archeologico perché questa zona è un luogo d’incanto, in cui c’è davvero la magnificenza di una natura straordinaria e di un’accoglienza sontuosa, ma anche perché è un luogo colmo di storia e cultura, che renderebbe Portigliola punto di partenza per una conoscenza capillare del territorio, che potrebbe rendere il teatro un luogo in cui realizzare una rassegna primaverile come quella che si realizza a Siracusa. Certo, Siracusa ha un teatro gigantesco e organizzatissimo, ma qui si potrebbe riprodurre in piccolo un festival che ogni anno porti in scena almeno una commedia e una tragedia di cui, grazie alla rete di Scena Nuda, si potrebbe parlare in breve tempo in tutta la regione e che potrebbe rendere questa zona un’alternativa più facilmente raggiungibile rispetto a quella siciliana.

Elisabetta Pozzi

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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