Il matrimonio a Locri Epizefiri
La Repubblica dei Locresi di Epizephiri XLIV - Dopo aver parlato della differenza tra matriarcato e matrilineari è utile capire che caratteristiche avesse la cerimonia nuziale nell’antica Locri. Ad aiutarci a comprenderne i dettagli ci viene incontro un racconto, che riportiamo in maniera integrale, che descrive la cerimonia che ebbe per protagonisti Euridice e Ilone.
Di Giuseppe Pellegrino
Sempre per privilegiare il politicamente scorretto, per come fatto altrove, si riporta testualmente la descrizione del matrimonio tra Euridice e Ilone, frutto di una ricostruzione accurata in cui viene raccontato il triste matrimonio con rispetto totale della procedura nunziale come era in uso a Locri. Il racconto è nella fase in cui Zaleuco e Tirso devono recarsi da Euridice, figlia di Dorimaco, per dargli la notizia della morte del marito Ilone, ucciso a Kramatia. Zaleuco nulla sapeva, ma è Tirso a recargli la notizia e, insieme, si avviano alla casa della sposa di Ilone.
«È bene che andiamo a dare la cattiva nuova, con le opportune cautele»,cincischiò Zaleuco. Non indossò niente sul chiton, il mantello di lana. Il solstizio di estate non era molto lontano e il tempo non faceva presagire un’estate calda, ma Zaleuco odiava l’ingombro di molte vesti. Al contrario, Tirso si era portato sopra il chiton, il menandro, un mantello lungo, di lino, di colore bruno, con gli orli di colore bianco. Tirso non osava portare abiti con orli di porpora, pur tuttavia manteneva soprattutto nei confronti di Zaleuco un atteggiamento di sfida e tale abito era quello che più si avvicinava al divieto locrese. Al cinto aveva la spada.Non dovettero camminare molto per raggiungere la casa del Siracusano. Se la casa di Zaleuco era vicina all’Agorà, quella di Ilone non era molto distante. Occorreva solo superare l’Agorà e la Dromo. Poco dopo vi si arrivava. Era immensa. Raggiunta la meta, vennero introdotti nell’andro-nitis, luogo riservato agli uomini, da un servo, e la presenza di Euridice non fu delle più veloci. Zaleuco era nervoso; Tirso mostrava una calma assoluta. Passato qualche tempo, la donna venne con passo felpato ma deciso. Scese dal gineceo in tutto il suo splendore, vestita di una semplice tunica, leggera e aderente. Solo i capelli, lunghi, ricci e neri, facevano ombra sulle spalle. Zaleuco provò un brivido. La donna aveva la capacità di sollecitare tutti i suoi sensi. Era bella, era sensuale. Forse negli ultimi tempi un poco ingrassata. Ma anche questo aggiungeva bellezza.Euridice era figlia di Segesta e di Dorimaco. Segesta discendeva dalle Donne delle Cento Case. Dorimaco era proprietario terriero.
Il racconto continua con le traversie economiche di Dorimaco.
In tale situazione (di difficoltà economica di Dorimaco, ndr.), l’offerta di Ilone di chiedere in moglie Euridice era stata considerata dal padre come un dono degli Dei, e il Siracusano venne accolto con tutti gli onori.
Le nozze furono celebrate con grande fasto e il rito locrese nuziale fu rispettato in ogni sua parte. Il giorno prima della nozze, Euridice si accompagnò con le sue amiche e insieme andarono a raccogliere fiori nei campi. Poi il pomeriggio, sempre tutte insieme, con i fiori fecero le ghirlande, che servivano per il giorno dopo. Tutte le fanciulle notarono la tristezza della donna che svolgeva il rito senza trasporto. Pensarono che ciò fosse dovuto alle preoccupazioni di chi si appresta a una vita non più giocosa, ma con compiti ardui per una fanciulla. Certo lo sposo non era bello, ma le ricchezze lo facevano oltremodo desiderabile. Cosa altro poteva volere Euridice? Con il passare di qualche giorno la gioia sarebbe scoppiata. Così pensarono, certe di non sbagliare. Prima dell’imbrunire, Euridice da sola, senza le amiche come era d’uso, si recò al tempio di Persefone con le sue offerte votive. Si recò con lentezza e sempre con la faccia triste, camminando lentamente. Passò prima davanti al tempio di Atena, ma alla dea di Zaleuco non dedicò neppure un pensiero. Non chiese, nel portarsi al tempio di Persefone, che Ares la accompagnasse. Nè Ares lo avrebbe fatto, perché non amava chi al desco comune si univa con il rifiuto di una vita da condividere. Posò, Euridice, nel tempio della Dea una palla di pezza e un gallo di terracotta, simboli in quel momento di due bugie. La palla era sicuramente il simbolo della fine della sua fanciullezza, e il gallo doveva annunciare certo una vita nuova. Ma la fanciullezza di Euridice se ne era andata il giorno della Festa della Sacra Prostituzione, quando era diventata per la seconda volta definitivamente donna, e la nuova vita felice non sarebbe mai arrivata.Il giorno delle nozze, al mattino presto, Euridice fece il bagno rituale purificatore, usando pure lo strigile, che faceva male, come gli atleti, per rendere lucido e sodo il corpo. Si attardò poi ad acconciare i capelli. Poi le sue amiche portarono un velo lunghissimo di lana bianca, ricavata dalla tosatura di pecore di pregio del gregge di Dorimaco, e tessuto finemente dalle abili ed esperte mani di Segesta, che aveva usato al telaio grossi pesi di bronzo per rendere la tessitura più fitta e fine possibile. Il velo era di forma trapezoidale e di lunghezza spropositata. Dalla parte più stretta era stata fatta un’imboccatura che serviva per la vestizione. Quando le amiche si avvicinarono alla sposa, ella abbassò la testa e loro fermarono il velo facendo passare la testa per il largo foro, stando attente a non danneggiare l’acconciatura. Così Euridice andò incontro al suo sposo e al suo destino dalla casa di Dorimaco. Così vestita e splendente Ilone portò la sposa alla sua casa, dove iniziarono subito i festeggiamenti.Il banchetto non si svolse solo nella casa, dove non erano sufficienti i banchi conviviali, poiché tutta Locri era presente e si era reso necessario imbandire anche per la strada, dove furono collocati tavoli e anche panche e i servi di Dorimaco e quelli, ancor più numerosi di Ilone, mai si stancavano di portare cibo e vino già mesciuto con l’acqua in grande quantità, poiché nella confusione qualcuno poteva osare bere vino puro.Anche il rito del letto nuziale fu rispettato. Le ancelle, il mattino prima della cerimonia, avevano sistemato il largo letto della casa di Ilone con tanti cuscini morbidi, riempiti di lana cardata. La stanza era riccamente allestita. Una grande cassa di legno con i piedi raffiguranti dei leoni. Mensole a volute adornavano i muri ed erano alte fino al tetto e con porte verticali, dove era stata sistemata tutta la dote di Euridice.Quando arrivò la sera ed i festeggiamenti finirono, sulla porta della camera nuziale, Pelope, la amata Pelope, attese gli sposi e offrì loro, posti su un piccolo tavolo, cibi nuziali afrodisiaci in gran quantità. Aspettò la fine del pasto degli sposi, che di cibo o erano sazi o non ne desideravano per niente. Poi la fida serva diede alla padrona un erote che Euridice prese con la mano destra e aprì la stanza nuziale. Pelope fece entrare prima la sposa e poi lo sposo. Chiuse, quindi, la porta pian piano, augurandosi che i suoi cattivi pensieri non si avverassero. Ma quella notte la stanza nuziale accolse solo nozze bianche e senza amore. Né quella notte né mai la sposa si concesse. Euridice aveva sempre una indisposizione da frapporre. Presto Ilone non ci fece più caso, la sua mente e il suo cuore non provavano emozione più per la donna. Le nozze le aveva volute, inconsciamente, per avere un erede, consciamente per avere una situazione di maggiore prestigio a Locri. Per il resto le uniche emozioni le aveva chiuse in casa. E forse fuori dalla sua casa. Si narrava che la casa di Ilone non solo avesse un gineceo immenso e l’andronitis di grande stazza, il peristilio che permetteva passeggiate al sole, la cucina a sud, la latrina a occidente, ma soprattutto avesse un’ala, che aveva porte spesse e serrature pesanti, alla quale nessuno aveva accesso, neppure Euridice. Qui, si mormorava, Ilone solitario contemplava le sue non esponibili ricchezze. Vi erano ori, argenti, bronzi e piatti in rame; vi erano statue in bronzo e piccole e rotonde laminette in oro, argento, bronzo e rame, con raffigurazioni di re, eroi, strateghi, che servivano, si diceva, per commerciare con lontani paesi: cose mai viste da nessuno. Qui Ilone si beava fino a sudare per la emozione e provare qualcosa che si avvicinava a un orgasmo forse mai avuto veramente.
Come si vede vi sono usi che non tramontano (quello del velo, della dote) e che hanno nel tempo un uso costante che solo il disprezzo per il proprio passato, ha fatto dimenticare.
Solo per completezza. La visita ad Afrodite e Ares aveva un forte segno simbolico. Dall’unione dei due era infatti nato Eros, il figlio dell’amore. Simbolicamente richiamava che i figli nati dalla unione di donne libere con schiavi non era frutto di un mero trasporto carnale ma, appunto, figli dell’amore. La Repubblica Democratica di Locri di IV tipo, come direbbe Aristotele, si fonda anche su questo: erano figli dell’amore, anche se illegittimi, i figli di Locri, che potevano vantare il diritto di ricoprire cariche istituzionali.
Foto di shakko