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CronacaReggio Calabria

Antonio Cataldo: «Ho iniziato a collaborare perché temevo per la mia vita»

«Temevo per la mia vita, per questo motivo ho iniziato a collaborare con la giustizia.»
Lo ha dichiarato Antonio Cataldo, classe 1964, nell’ambito dell’udienza del processo Riscatto tenutasi ieri presso il tribunale di Locri.
Cataldo ha ripercorso i tratti salienti della sua entrata nella Locale di ’ndrangheta di Locri, che sarebbe avvenuta a metà degli anni ’80, quale picciotto, quindi picciotto di sgarro ricoprendo anche la carica di Capo Giovane, tenendo a sua volta a battesimo altri neofiti e guidando la minore, che era composta da circa 40 persone da formare.
Il 57enne di Locri, che si trova in una località protetta, ha riferito di alcune vicende legate ai rapporti tra le famiglie dei Cataldo e dei Cordì, dallo scontro che si è aperto già dal 1967 fino alla pace avvenuta negli ultimi anni. Sugli omicidi che si sono registrati nel corso della Faida di Locri Antonio Cataldo ha fornito delle indicazioni agli inquirenti. Particolare, quest’ultimo, che sarà vagliato attentamente dai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia reggina e dagli investigatori dei Carabinieri.
Nel corso della deposizione resa davanti al Tribunale di Locri il collaboratore ha confermato quanto contenuto nei verbali depositati dal sostituto procuratore Giovanni Calamita, compreso il racconto relativo all’attentato contro il figlio del Procuratore Nicola Gratteri quando si è ipotizzato che il magistrato, oggi a Catanzaro, potesse rivestire il ruolo di Ministro della Giustizia in un Governo nazionale.

Redazione

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