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La diffusione degli ebrei nell’antica Locride

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri LIX - Dopo aver parlato degli ebrei ellenofoni che colonizzarono la Calabria è il momento di proporre un estratto del romanzo “Japhet”, in cui Giuseppe Pellegrno descrive una nuova Aschèna, nata dalla distruzione dell’originaria dopo il distacco della Sicilia e dalla Calabria e una delle prime diaspore degli ebrei di lingua elleofona che si dislocarono in più di un territorio della Calabria.


Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

Aschèna, capanna di Denaim, giorno primo del mese di palamnaios, anno secondo della 53ª Olimpiade, ora prima.

Spinti fuori da Reggio Calabria dai Calcidesi, gli Ebrei, ormai ellefoni, fondarono diversi villaggi, se non vere e proprie poleis, mantenendo i propri costumi. La località San Pasquale di Bova, all’epoca di Zaleuco, era locrese, poiché il territorio di Locri, finiva al fiume Halex (il Tuccio diversamente da come la pensa Alfonso De Franciscis) sito nella fiumara, antistante la galleria di entrata a Melito Porto Salvo.
Ma non basta. Il canonico Pasquale Natoli, nella sua collaborazione con la Rivista Storica Calabrese, si pone il problema e cita storici, quale Giuseppe Flavio e la sua opera, che ha fatto molti seguaci convinti, anche se in concreto non prende una posizione.
Ma forse la presenza di ebrei ellefoni è ipotizzabile fosse più vicina di quanto non si creda. Gerace è una città sicuramente medievale. Altrettanto sicuro è che ci fosse in detto periodo una comunità di ebrei, tanto che forse vi era un ghetto. Storicamente spesso viene citato l’odio razzista dei geracesi nei loro confronti. Si vuole, infatti, che in occasione della Pasqua, i geracesi fossero usassero bastonare gli ebrei, ai quali rimproveravano la grave colpa della morte di Cristo. Ma forse è ipotizzabile una loro presenza in epoca molto più antica. Il vanto di Gerace è anche la Cattedrale, costruita nel 1045, “quando Gerace ancor’a’ Greci ubbidiva”,come dice Pasquale Scaglione, quindi originariamente di rito greco. Nei suoi sotterranei vi è un altare, si dice pagano, molto antico. Vi è chi colloca l’ara come residuo dei Fenici, chi come altare siculo o italiota. Tutti, però, sono d’accordo su un punto: che la sua datazione sia pre-ellenica. Ossia che la sua esistenza sia anteriore alla venuta dei greci a Locri. Avverso l’ipotesi Fenicia, vi è l’argomentazione che i Fenici, seppure abbiano toccato le coste ioniche, non ebbero mai delle comunità, diversamente che dalla Sicilia. Avverso l’ipotesi dell’altare siculo o italiota vi sono da fare due obiezioni: la prima è che non si hanno parametri di riferimento con ritrovamenti archeologici simili; la seconda è che, per così dire, i pagani facevano i sacrifici vicino ai templi dei loro Dei. Di ciò non vi è traccia. È possibile che tutto sia stato distrutto perché pagano, ma resterebbe l’interrogativo da chiarire del perché non distruggere anche l’altare. Un’ipotesi logica potrebbe essere quella che, molto sommessamente, esponiamo appresso.
L’altare situato nei sotterranei ha una caratteristica evidente: è in pietra e ha oggi (non si ha il piano di sede originario) un’altezza di poco più di 70 centimetri. È un’ara sacrificale, tanto che al centro vi è una scanalatura per far defluire il rigagnolo del sangue conseguente alla scannatura dell’animale ai piedi della stessa. Sulla destra, per chi guarda verso l’altare, vi è un supporto nella pietra che serviva a posare il coltello usato per il sacrificio. Ebbene, nel romanzo Japhet, vi sono descrizioni di più are sacrificali: da quelle semplici in terra a quelle costruite in epoca più tarda dal popolo ebreo. Tutte le descrizioni sono state tratte rigorosamente dall’Antico Testamento. Anzi, nel romanzo si è usata una copia dell’800 al fine di utilizzare un’opera meno interpolata possibile.
Questa la descrizione:

Farai per me un altare di terra e, sopra, offrirai i tuoi olocausti e i tuoi sacrifici di comunione, e le tue pecore e i tuoi buoi; in ogni luogo dove io vorrò ricordare il mio nome, verrò a te e ti benedirò. Se tu mi farai un altare di pietra, non lo costruirai con pietra tagliata, perché alzando la tua lama su di essa tu la renderai profana. Non salirai sul mio altare per mezzo di gradini, perché là non si scopra la tua nudità.*

Proprio come Gerace: un unico blocco non di pietra (che era vietata), ma una sorta di tuffo sculturato sul posto, senza gradini con una scanalatura per raccogliere il sangue ai piedi dell’Ara.
Dall’insieme emergono tre particolari: l’Ara sacrificale rappresentava il punto della Adunanza e non aveva nei pressi Tempio alcuno. A Casignana, terra di Ebrei, vi è un luogo chiamato Juditra. La Juditra era il posto dove stavano le donne quando non c’erano i templi; oggi la porta da dove escono le donne, che è diversa da quella da dove escono gli uomini.
L’Ara era composta di terra, di terracotta o di pietra (ma anche poi veniva utilizzato il legno, il bronzo e altro). Le Are avevano tutte una scanalatura che portava il sangue dell’animale ai piedi della stessa e un appoggio per il coltello. La scanalatura, più che verso oriente, era indirizzata verso il mare. Ora l’Ara situata nella Cattedrale ha tutte queste caratteristiche e per di più è spoglia, per come consigliato dalla Bibbia. La mancata distruzione nella costruzione del Tempio si può giustificare con la continuità religiosa che la stessa rappresentava. Di più: il sito per la costruzione della Cattedrale può essere stato individuato proprio per la presenza di una Ara, costruita secondo i dettami dell’Antico Testamento. È certo questa una ipotesi di solo studio, ma, in verità, anche le altre non hanno altro supporto. La ricostruzione qui fatta ha il vantaggio di essere coerente sul piano logico.
Vi è, infine, un’ultima breve considerazione. È possibile che le Comunità ebraiche che si sono insediate nel reggino dopo la venuta di Cristo, fino ad epoca medioevale, avessero come punto di riferimento luoghi in cui la presenza di loro antenati era conosciuta.

* La Sacra Bibbia, Esodo, 25-26.

Foto: reggiocalabria.italiani.it

Redazione

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