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Costume e SocietàLetteratura

L’arrivo di Annibale a Locri

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri LXV

Di Giuseppe Pellegrino

Anche sul modo di votare, se per acclamazione, maggioranza qualificata, o maggioranza semplice, non vi è letteratura, come per Sparta e Atene per come riportato. Tuttavia non bisogna nascondersi che il Popolo intero (i klèroi) non partecipava compatto a tutte le votazioni. La divisione in Tre tribù di Locri portava anche a una divisione delle cariche, soprattutto delle Magistrature costituzionali. Per i Membri della Bolà, ogni Tribù votava il proprio candidato. O meglio, ogni Demo, perché per ogni Tribù erano undici, votava il proprio candidato. Analogamente, per i Proboloi, uno per ogni Tribù; o per i hieromnamones, che erano tre. Quindi, ogni apparato votava i propri rappresentanti.Diversamente, nell’approvazione delle leggi, dei decreti, o della gestione della polis votava tutto il popolo per come descritto nella Dàmos.
Sulla votazione a maggioranza non vi è letteratura, ma da un episodio certo che ci viene raccontato da Tito Livio in modo particolareggiato e che riguarda la venuta di Annibale a Locri dopo la battaglia del Trasimeno e l’uccisione del fratello Asdrubale nella battaglia presso il Metauro, indirettamente si ricava una certezza giuridica, oltre che storica. Per come fatto già per sancire il diritto di iniziativa di legge, si propone, romanzato, l’episodio della cattura dei cittadini locresi da parte del generale Annone e di Amilcare Barca.

Era l’anno primo della 142º olimpiade, l’anno 543 ab Urbe condita, dalla fondazione di Roma, l’anno 207 dall’avvento di Cristo, me lo ricordo bene e non posso sbagliare. Era il mese di Dionìsios per i Locresi e di Ecatobeone per gli altri Greci, di Quintilis allora per i Romani, che poi lo avrebbero chiamato Julius, in onore di un loro illustre condottiero, e che oggi tutti chiamiamo Luglio, quando quasi tutta la gente di Locri, a eccezione di pochi Kyloi, e di manovalanza utile per la città, si era riversata nelle campagne.Anche questo mi ricordo bene, perché il quel mese l’afa si era manifestata con intensità tale che a memoria d’uomo non aveva ricordo di altro uguale. La terra aveva dato quasi tutti i suoi frutti. Il grano era stato mietuto secondo gli insegnamenti di Demetra: il mietitore con un falcetto di ferro, che teneva nella mano destra, mentre aveva provveduto a proteggere, con delle canne tagliate a misura, le dita della mano sinistra, contro la quale poteva finire incautamente il falcetto, tagliava il grano a mazzetti, tenuti insieme da un legaccio fatto sempre di grano, formando la jèrmata, fino a raggiungere in numero di tre che, legati insieme, avevano formato la gregna. La gregna veniva sistemata su una collinetta ariosa, stando attenti a che fosse depositata a forma di cerchio, che non ha inizio e non ha fine ed era simbolo di abbondanza; poi, man mano che si procedeva i cerchi, si alzavano da terra fino a formare una timogna, ossia una piccola montagna di grano del tutto simile alla pietra sacra di Petracappa, dove si trovava il Persephoion. Infine, avveniva la pulitura del grano mediante l’operazione inversa: dalla timogna a due e tre per volta le gregne erano state stese per terra sulla collinetta e pestate prima con dei doppi pali, formati in modo che il palo più lungo fungesse da manico e quello più corto, legato al manico con una cordicella, da martello; poi, con l’aiuto delle mucche che trascinavano una pietra, il grano veniva pestato fino a che ogni chicco non usciva dal suo alveo; quindi veniva con una pala gettato verso l’alto e fatto cadere: era il vento che si assumeva la fatica di allontanare i rimasugli e lasciare il grano pulito, che veniva fatto asciugare prima su un pavimento asciutto e poi riposto in capacissime canizze, ceste enormi fatte di canna. Solo i fichi erano già maturi, mentre i frutti dei mandorli e delle noci erano ancora teneri, come tenere erano le noci da fare caldarroste, come le chiamava Senofonte. Mi ricordo bene che anche la canicola di quel mese sconsigliava di uscire di casa, ma di attendere a lavori domestici all’ombra di muri spessi e freschi, che riparavano dalla calura, o di riposarsi all’ombra di una pergola.Seduto sul cavallo, alla testa di venti speirai, tutti di cavalieri, dalla collina poco distante da Castellace, il generale cartaginese Annone vide la scena e fu incuriosito per la folla immensa di cittadini locresi nelle campagne. A Locri, il generale Annone era venuto, per ordine di Annibale, che seguiva dappresso, insieme ad Amilcare Barca. Il comandante supremo era ancora angosciato, spaventato e, soprattutto, addolorato per la morte del fratello Asdrubale.

Foto di Sébastien Slodtz

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