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Attualità

Femmina penso, se penso l’umano…

Pensieri, parole, opere… e opinioni

Devo sinceramente ringraziare una nota stampa del Partito Democratico di Siderno che, citandone un verso in apertura, mi ha permesso di scoprire la Ballata delle donne di Edoardo Sanguineti. La composizione del poeta genovese evidenzia, infatti, attraverso evocative immagini, la lotta quotidiana e silenziosa della donna, interpretata come il vero e proprio motore della realtà sociale italiana (e, per estensione, europea). Per Sanguineti, la donna riesce in ogni frangente della sua vita a essere determinante per l’uomo, che arraffa senza riconoscenza la gioia dell’amore, la pace della quotidianità domestica e la cura della sua prole che lei gli mette disinteressatamente a disposizione. Contrariamente a quanto avviene nella poesia rinascimentale, che vede nella donna un’espressione celeste, la donna di Sanguineti ha i piedi ben piantati a terra e, in definitiva, incarna tutte le migliori qualità del genere umano.
Non sono riuscito a scoprire quale sia stato l’elemento che ha ispirato all’autore la composizione della ballata, ma sono rimasto molto sorpreso dalla sua capacità di sintesi di problemi che sono oggi più che mai attuali: nella società contemporanea della tolleranza a tutti i costi, infatti, la contrapposizione tra generi che costituisce il cuore della poesia ha finito col divenire ancora più evidente, tanto più che non si vuole esplicitamente parlare del problema come se questo semplice atto di omissione servisse a cancellarlo. A comprovare questa nostra indole contraddittoria interviene il dato, diffuso proprio nella giornata di oggi, sull’aumento dei cosiddetti reati spia, ovvero stalking, maltrattamenti e violenze sessuali, che sembrano essere divenuti la tollerata normalità di una società che avrebbe invece tantissime cose da rivedere. Che la donna, soprattutto in certi ambiti, sia ancora considerata un gradino al di sotto dell’uomo lo dimostrano le tantissime disparità (salariali, di opportunità, di incarichi…). Un quadro che la pandemia e la crisi economica hanno contribuito a rendere ancora più pietoso nel nostro Paese e che adesso, a causa della guerra, rischiamo di veder peggiorare anche a livello internazionale. La fuga disperata dei civili dalle città ucraine bombardate e l’oppressione delle manifestazioni di piazza in Russia costituiscono una tagliola sui diritti umani di cui le donne stanno pagando il prezzo più elevato. Lo dimostra lo strazio di Marina, la mamma di Kirill, morto ad appena 18 mesi sotto i bombardamenti di Mariupol; la storia di Tatiana che, mentre cercava di fuggire da Irpin, ha ricevuto la grazia di morire assieme ai suoi due figli adolescenti; quella di Olena, insegnante che mai avrebbe pensato di divenire il volto simbolo della guerra, ma anche quella di Yelena, la sopravvissuta all’assedio di Leningrado che è stata costretta ad assistere una volta di più agli orrori di una guerra per manifestare contro la quale è finita in carcere alla veneranda età di 80 anni.
Proprio il conflitto scatenato dal presidente russo Vladimir Putin mette in evidenza l’attualità del passaggio più bello della poesia di Sanguineti che, citando “la partigiana che qui ha combattuto” mi ricorda Julia, l’insegnante di Kiev immortalata in lacrime mentre imbraccia un fucile che non sa nemmeno usare, e affermando “femmina penso, se penso la pace”, mi fa venire in mente quel gruppo di donne ucraine che offrono un te caldo e una pagnotta a un soldato russo appena catturato. La potenza di quel gesto semplice, eppure inaspettato in un contesto come quello della guerra, viene accresciuta in maniera esponenziale da una di quelle donne, una giovane che sfoggia con fierezza una singolarissima capigliatura viola, che concede al nemico, poco più di un bambino che gioca a fare il patriota, di effettuare con il suo telefono una videochiamata a mamma Natasha, rimasta in Russia tra mille angosce. È lei a dirle che il figlio è prigioniero, ma sta bene, a non esitare a fare una carezza al giovane ormai in lacrime, dando al mondo una lezione di umanità che nessun maschio sarebbe riuscito a tenere.
A Marina, a Tatiana, a Olena, a Julia, alla giovane dai capelli viola, a tutte le donne ucraine che stanno lottando per la propria vita e per quella dei loro cari, a mamma Natasha e a tutte le mamme che stanno aspettando che i propri figli tornino da una guerra senza senso, alle donne russe che, al pari di Yelena e Olga, non hanno esitato a farsi arrestare pur di protestare contro la guerra e le restrizioni imposte dal proprio governo, e alle volontarie che si stanno spendendo per aiutare i profughi non farò gli auguri per questa Festa della donna che gronda sangue, ma dirò grazie per aver dimostrato, proprio come sostiene Sanguineti, quale sia l’ultimo appiglio al quale l’umanità può aggrapparsi per evitare di rotolare sempre più velocemente verso l’estinzione.


Edil Merici

Foto di copertina: google.it

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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