Cento passi per essere liberi
Di Carmen Nicita
Liberi non si nasce, lo si diventa. E lo si diventa combattendo, con il coraggio e non con la paura. Peppino Impastato libero non lo era nato. Scelse però di esserlo. Fin da giovanissimo decise di liberarsi dalle catene che l’ambiente in cui viveva avrebbe voluto imporgli. Catene che imprigionano e intrappolano. Catene mafiose che soffocano e non ti lasciano via di fuga. Peppino Impastato, però, di limiti non ne voleva avere. Era libero e leggero, come lo erano i suoi pensieri. Denunciava i boss locali e guardava gli orizzonti credendo nelle nuove albe. È per questo che fu ucciso. Peppino Impastato fu assassinato perché “la mafia è una montagna di merda”. E lui non aveva paura di urlarlo. Non aveva paura di far conoscere quella puzza di merda alla gente. Chi è nel giusto, timore non ne ha mai. E Peppino giusto lo era. Così come anche libero. E i giusti e i liberi spaventano chi invece non lo è. E chi non lo è uccide, perché altro non sa fare. Era il 9 maggio del 1978 quando la carne di Peppino Impastato veniva fatta esplodere. Con le sue ossa martoriate fu inscenato un attentato finito male e l’evento fu a lungo oggetto di depistaggi e speculazioni. Quarantaquattro anni fa il suo corpo veniva liberato nell’aria sporca di Cinisi. Peppino impastato aveva 30 anni, ma la sua morte non bastò a mettere a tacere la sua voce. Le sue parole gridano ancora. Più forte di allora. Peppino Impastato insegnava la bellezza di essere liberi. E il profumo della libertà sapeva scovarlo anche nei più ricondì anfratti di quella montagna di merda che è la mafia.