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Attualità

Locri ricorda… male?

Pensieri, parole, opere… e opinioni


Edil Merici

Ricordo come un sogno gli occhi arrossati dal pianto di mia madre mentre in televisione passavano le immagini di una donna che parlava in un microfono retto da un prete.
«Io vi perdono, ma vi dovete mettere in ginocchio…» diceva con la voce spezzata. All’epoca, naturalmente, non potevo capire perché mia madre piangesse assieme a quella donna sconosciuta che, dal tubo catodico, si ostinava a parlare nonostante la sofferenza visibile. Con il tempo ho compreso fin troppo bene il perché di quelle lacrime, perché Rosaria Costa (quello il nome della donna), disperata per la perdita del marito Vito Schifani nella Strage di Capaci avvenuta poco più di un mese prima, ripetesse con amarezza le parole «lo Stato» e affermasse che, in quel marasma, fossero presenti anche «uomini della mafia». Oggi, considerata anche l’età che avevo quel ventilato giorno di giugno, ho il dubbio che quel ricordo sia in realtà il frutto di una suggestione maturata con il tempo. Ma ciò non toglie che io c’ero, che quei momenti tragici sono una parte del mio vissuto, che abbia la sensazione di ricordare il clima di tensione che si viveva in quel principio d’estate e che tutti questi elementi abbiano contribuito a far maturare in me l’idea che anche io debba fare tutto ciò che è in mio potere affinché i miei figli non abbiano come primo ricordo le parole rotte dal pianto di una vedova.
In questi termini, non posso che apprezzare le iniziative che in tutta Italia si stanno svolgendo per commemorare il 23 maggio, giornata nefasta in cui Cosa Nostra decise di giocare una vota per tutte a carte scoperte condannando a morte i due magistrati Giovanni Falcone e, nel luglio dello stesso anno, Paolo Borsellino. In questi 30 anni l’Italia è cambiata anche grazie a quel sacrificio, utile ad accelerare una presa di coscienza che oggi rende più fragili le catene della criminalità organizzata, ma che l’ha anche costretta a reinventarsi, talvolta stringendo accordi con eminenze grigie che sono ai vertici di un potere formalmente legale. Quello stesso tipo di accordi che Falcone e Borsellino non ebbero paura di denunciare, firmando così la propria condanna a morte.
Tornando alle celebrazioni odierne, ho apprezzato il percorso che l’Amministrazione Comunale della mia Locri ha ideato assieme alle scuole per sensibilizzare i più giovani sull’importanza della data odierna. Incontri, confronti, conferenze e striscioni sono certamente ottimi strumenti per instillare quella cultura della legalità che non è mai troppo radicata nelle coscienze dei nostri ragazzi e ricordare degnamente chi ha dato la vita perché potessero essere liberi.
A questo, tuttavia, sempre a Locri, fa da contraltare un cartello che, a mio modesto avviso, rappresenta l’enorme “ma” che voglio porre in calce al lungo elenco di belle iniziative di cui sopra.
Mi riferisco al cartello toponomastico di via Falcone e Borsellino, traversa a doppia carreggiata che collega via Cosmano alla trafficatissima Nazionale, in cui i due magistrati vengono identificati come “vittime innocenti della mafia”.
Ricordo la cerimonia con cui, tre anni fa, la strada fu intitolata alla memoria dei due magistrati. Un evento in occasione del quale con Don Luigi Ciotti ricordò giustamente come la decisione del Comune non dovesse tuttavia scivolare nella cosiddetta “retorica della memoria”. Mi domando però se tale scivolone, non sia in effetti stato computo proprio quel giorno, sbagliando così grossolanamente la definizione dei due nominativi. Dire che Falcone e Borsellino sono state vittime innocenti della mafia significa far perdere i loro nomi nell’interminabile elenco che Libera si sente in dovere di snocciolare ogni 21 marzo, facendo perdere di significato le commemorazioni del 23 maggio. È come dedicare una strada a Giulio Cesare “vittima di un complotto”, a Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este “vittima del nazionalismo” o a John Lennon “vittima di un pazzo”. Senza nulla togliere alle vere vittime innocenti della mafia, attribuire questa definizione a Falcone e Borsellino cancella quei 30 anni di storia cui facevo inadeguatamente cenno due paragrafi fa. Riportare in un cartello quella definizione significa comunicare ai passanti che Falcone e Borsellino erano due persone normali, che sono state prese di mira dalla criminalità organizzata perché un boss locale li aveva in antipatia, glissando sul fatto che, invece, hanno speso una vita intera a scardinare un sistema che, diciamolo a chiare lettere, faceva comodo anche a quelle eminenze grigie protagoniste delle famigerate trattative Stato-Mafia. Loro diventano semplici vittime anziché martiri e chi è rimasto nell’ombra per tutti questi decenni potrà continuare a farlo con la coscienza pulita.
Anche se celebriamo adeguatamente la giornata di oggi, insomma, la presenza di quel cartello ci autorizza a ricordare i due nomi solo in occasione delle ricorrenze. Durante gli altri 363 giorni dell’anno basterà qualche applauso alle iniziative sulla legalità e un “la mafia è una montagna di merda” per espiare i nostri peccati.
Mi rendo conto che possa sembrare una piccola cosa, ma le parole hanno un peso specifico importante e sostituire quel “vittime innocenti delle mafia” con un “magistrati antimafia” potrebbe fare quella differenza che intercorre tra un bambino che, visto il cartello, tira dritto mantenendo la sua vaga idea di che cosa sia una vittima e, soprattutto, di cosa sia la mafia, e uno che, dopo aver letto la dicitura, si gira a domandare «Papà, che cos’è un magistrato antimafia?»
In fondo, non è anche questo un modo per celebrare la legalità tutti i giorni?


Varacalli

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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2 Comments

  1. Caro Jacopo,
    ti leggo sempre con molto affetto e stima. Nella relazione sopra da te redatta, non sarei tanto d’accordo sul fatto che l”Italia sia tanto cambiata in effetti. Noi tutti avessimo tanto desiderato questo benedetto “”cambiamento””, pero’ secondo la mia modesta opinione siamo rimasti al solito status quo. Lo Stato era e fu’ assente allora 30 anni fa’ ………pietosamente ne lo rimane ancora. Noi cittadini stiamo ancora aspettando per questa giustizia.
    Si negli ultimi anni si sono verificati tantissimi cambiamenti, ma generalmente parlando la classe operaia, i poveri, gli anziani, gli infortunati, i più suscettibili ed emarginati onestamente le loro posizioni son rimaste tali e quali se non peggio. Forse la massa pensa di vivere in Democrazia…….ma analizzando il tutto ai minimi termini mi vien da dire che viviamo piuttosto in un regime che all’apice ha un gruppo di persone che dispongono del potere di vita o di morte sugli altri cittadini…….queste dette persone (gruppi invisibili) non pagano mai alcun reato perché’ sono e rimangono grazie ad intese scellerate sempre al di sopra della legge. Dato che siamo in tema in questi giorni ricordati…….il compianto Magistrato Paolo Borsellino in uno dei suoi tanti discorsi si pronuncio’ cosi: Lo Stato e la Mafia sono due poteri che occupano lo stesso posto. O si fanno la guerra tra di loro, o per convenienza di tutte e due si mettono d’accordo.
    Grazie mille per lo spazio e spero in un tuo gentile riscontro. Saluti affettuosi da Toronto.

    Rispettosamente…..

    Pino Correale Toronto-Canada

    1. Una riflessione certamente condivisibile, Pino ma, al netto delle difficoltà sociali di cui, purtroppo, continua a soffrire il nostro Paese, è fuor di dubbio (e a quello mi riferivo) che i fatti del 1992 (e non solo Capaci e via D’Amelio, ma anche Tangentopoli e il conseguente terremoto politico che ha determinato l’affermazione del Berlusconismo e del populismo leghista) abbiano impresso una svolta a gomito alla storia della nostra nazione, segnando profondamente le coscienze di tutti. Se 30 anni fa la mafia era un tabù del quale bisognava parlare a mezza bocca e chi alzava la testa veniva isolato (Falcone e Borsellino ce lo insegnano anzitutto con le loro storie personali) oggi le associazioni e iniziative per la legalità sorgono quotidianamente ovunque e si è capito che il fenomeno mafioso deve essere isolato e può essere combattuto. Ciò non vuol dire, purtroppo, che siamo riusciti finalmente a conquistare il nostro posto al sole: il fenomeno mafioso, come scrivevo, ha infatti dovuto trovare altre strade per proliferare, facendo studiare i suoi rampolli e rendendoli “imprenditori” che poco hanno a che vedere con i “picciotti” che 30 anni giravano con la pistola in tasca e chiedevano il pizzo. Ma, adesso che stiamo capendo anche questo meccanismo e che abbiamo imparato a ricordare (più o meno), possiamo combattere anche questa evoluzione della criminalità organizzata e sperare, magari senza la necessità di un’altra svolta a gomito così drammatica come quella del ’92, di poter arginare al più presto anche questa declinazione di quel “fenomeno umano che, in quanto tale, ha avuto un un inizio e avrà una fine”.
      Grazie di essere un nostro così appassionato lettore.
      A presto!

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