L’“Edipo a Colono” e il dolore che rende coscienti del proprio destino
Di Luisa Ranieri
Nella cornice azzurra delle possenti mura del Palatium Romano di Portigliola, situato nell’area archeologica dell’antica Locri Epizefiri, nel corso della serata del 6 agosto si è stagliata imponente la figura di un Edipo nuovo, interpretato in modo magistrale dall’attore Mamadou Dioume.
Non più dialoghi, ma una voce narrante in sottofondo a indicare in modo saliente la vicenda di un uomo innocente a cui il Fato ha riservato la più atroce delle sorti: l’uccisione del padre Laio, le nozze incestuose con la madre Giocasta e la messa al mondo di una stirpe contro-natura, emblema eterno dell’impotenza umana nei confronti di un destino che, invece, sa sempre cosa vuol fare alle sue creature.
Ed ecco che il tenero cordone ombelicale che aveva nutrito l’eroe nel grembo materno si è trasformato, nella regia di Gina Merulla, in un groviglio di pesanti corde che lo strattonano violentemente insieme ai suoi cari, portandolo a un vita raminga funestata da altri atroci dolori.
Ma è proprio nel sobborgo ateniese di Colono che avviene la catastrofe, ossia il cambiamento di rotta del suo destino, quando riceve dal re Teseo la misericordia di quel rispetto umano che né Tebe né Corinto gli avevano mai saputo riservare e la promessa di una sepoltura in cui trovare finalmente pace.
E l’uomo, che da vivo aveva infranto tutte le leggi morali alla base della società ateniese, diventa, addirittura, in qualità di Nume Tutelare, emblema della sua grandezza.
La realizzazione del dramma di Sofocle, sostituendo ai dialoghi dei vari personaggi e del Coro tradizionale il gesto coreutico del movimento ha ridotto all’essenzialità il testo del drammaturgo greco, elevandolo a monito eterno: l’uomo nasce cieco nei confronti della vita ma è attraverso il dolore che diventa vedente e del tutto cosciente di sé e del proprio destino.E, per rendere universale questa considerazione, la regista ha scelto come musiche di sottofondo non improbabili ricostruzioni dell’antica musica greca ma testi di dolente modernità in cui più facilmente ci possiamo riconoscere ed identificare.
Foto di Vincenzo Larosa