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Costume e Società

Le tante volte di Aldo Moro


Edil Merici

Di Vincenzo Speziali

È la grandezza dell’uomo, dello studioso, dello statista (non semplice politico!), ma soprattutto, il senso del cristiano e del credente, seppur nella vita laica, ma non laicista. Già, Aldo Moro, sempre Moro, solo Moro, che dispiega il suo ragionato essere a tutto campo, sia sul fronte interno, sia nel versante estero, cercando un ampliamento delle piattaforme di consenso (a fronte di maggiore condivisione, tra tutte le forze politiche) e che non ammaina mai la bandiera di un dialogo intrinseco, per di più composto e intessuto, tra tutti gli attori del proscenio.
Un esempio? Bene, presto detto! Pochi lo sanno e ne sono testimone orgoglioso, in quanto me l’ha confidato un insigne giurista, politico e diplomatico libanese che, proprio alcuni mesi or sono (durante un nostro incontro con Youmna Gemayel, figlia di Bashir, leader Maronita e Presidente della Repubblica dei cedri, definito martire, poiché barbaramente assassinato all’inizio del suo mandato) spiegò la differenza tra legalità e legittimità politico/costituzionale, aggiungendo che agli albori della guerra civile, la quale martirizzò questo mio Paese d’adozione, un gruppo di parlamentari illuminati, chiese proprio al nostro presidente (Moro, sempre Moro, solo Moro) una consulenza tecnica per ammodernare e armonizzare la Carta libanese, fondata sul Patto Nazionale, ovvero l’assegnazione prestabilita delle cariche statuali apicali, tra le diverse confessioni religiose. A chi, se non al ‘nostro’, ci si poteva rivolgere? Lui, che da solo, aveva impostato la politica estera italiana, in un Mediterraneo rivierasco e con lo sguardo al mondo arabo (iniziata da un altro grande democristiano, Enrico Mattei e pure lui ammazzato, in quanto difensore dei leciti interessi nazionali poiché da questo scacchiere regionale, passavano le forniture dei bisogni energetici italiani.
Vi è molto di più, nel lodo Moro, non solo la non belligeranza avverso i palestinesi e il “girar la nostra testa” a fronte del passaggio dei loro armamenti, ma i capitolati segreti dell’intesa elaborata dal presidente comprendevano, sul nostro territorio, sia il divieto di azioni –(terroristiche per la comunità internazionale, militari per i fedayn di Arafat) ma persino il sotteso approvvigionamento di greggio in favore dell’Italia, di cui i Paesi islamici sono i primi produttori mondiali.
Apoteosi di un illuminato, finezza di impostazione diplomatico dialogante, insomma, il luccichio di un politico unicum, niente altro di più, seppur al tempo stesso il tutto nel tutto, sineddoche dell’immensità. Ricordare i suoi incarichi farebbe bene a chiunque, ovviamente se si avesse voglia di comprendere, alfine di amare le persone, lo Stato e la Politica. Quella con la P maiuscola, per intenderci! Difatti, Moro (sempre Moro, solo Moro!) senza esserci, continua a vivere, almeno per chi a lui intende rifarsi e siamo in molti, ogni giorno di più (pur se non cooptati in Parlamento, alla stregua di taluni volgarissimi, e attuali abusivi, allocati nelle istituzioni repubblicane, orfane del proporzionale pluripreferenziale).
Quante volte? Cinque, da presidente del Consiglio, cioè 1963/1968 (Moro I, II e III), per poi ritornare alla guida dei due suoi ultimi Governi, tra il Novembre ’74 e il Luglio ’76. Quante volte? Una, quale presidente del Consiglio Europeo, ovvero Luglio/Dicembre 1975. Quante volte? Nove, nelle vesti di ministro (alla Giustizia nel Segni I, alla Pubblica Istruzione con Adone Zoli e nel Fanfani II, agli Esteri nel II° e III° Rumor, nell’esecutivo Colombo, poi con l’Andreotti I, nuovamente nel IV° e V° Rumor).
Quante volte? Otto come Deputato, contando la Costituente, laddove scrisse pagine e righe memorabili, rendendolo unico più che mai, agli occhi dei compagni di Partito, ma anche a quelli degli alleati e persino degli avversari. Quante volte? Due, segretario della Democrazia Cristiana, cioè eletto dopo il conclave di Santa Dorotea (che battezzò la corrente omonima della DC) proprio dal Consiglio Nazionale del Partito il 14 marzo 1959 (in questa prima nonché gioiosa occasione, si addensano le Idi di Marzo), per poi essere riconfermato nel Congresso di Firenze, il 23/28 febbraio dello stesso anno. Quante volte? Una, nell’incarico di presidente della Commissione Esteri della Camera, ovvero dal luglio 1972 al luglio 1973. E ancora, quante volte? Sempre una, da presidente della DC, cioè dall’ottobre ’76 a quel funesto e maledetto 9 maggio del 1978.
In mezzo (già, in mezzo!) cosa c’è? Tutto, tutto un mondo da vivere, un modo di intendere le cose e di pensare alla politica, “per promuovere una nuova condizione umana” (XII Congresso della DC, Roma, 9 giugno 1973). E poi, la sua visione niente affatto dilatatoria ma concreta, in difesa del supremo interesse dello Stato e dei cittadini, come dimostrò (rivelando la sua tempra d’acciaio, seppur con la mitezza che gli era consona e tipica, di qualsiasi persona gentile, perciò lui in primis), durante la crisi del Governo Tambroni, nel Luglio del 1960.


Gedac

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