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Costume e Società

Il dubbio ragionevole nel caso O.J. Simpson

Le riflessioni del Centro Studi


Edil Merici

Di Angelica Commisso

Il “dubbio ragionevole” è quello che, sussistendo, preclude che si possa ritenere raggiunta una conoscenza processuale vera, per cui o tale dubbio viene superato (“al di là di ogni ragionevole dubbio”) o, in caso contrario, non potendosi ritenere raggiunta alcuna “vera” conoscenza processuale, la sentenza, stante il principio in dubio pro reo, non potrà che essere una sentenza assolutoria.
Quando in concreto il dubbio “è ragionevole” e quando “non è ragionevole”? Può ritenersi dimostrata (verificata) una tesi processuale e falsificata la tesi processuale contrapposta, nel senso che all’avvenuta dimostrazione della tesi e alla contestuale falsificazione della tesi contraria, corrisponde il “dubbio non ragionevole”, mentre alla tesi non adeguatamente dimostrata e/o alla tesi contrapposta non adeguatamente falsificata, corrisponde il “dubbio ragionevole”. La consacrazione del principio è conquista di civiltà giuridica, che va sempre e comunque tutelata in quanto espressione di fondamentali valori costituzionali, coagulati attorno al ruolo centrale della persona nell’ordinamento giuridico, alla cui tutela è anche funzionale, in ambito processuale, il principio della presunzione di innocenza sino ad accertamento definitivo, di cui all’art. 27, c. 2, della Carta Costituzionale. Il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio è l’equivalente della formula anglosassone riassunta nel concetto Beyond Any Reasonable Doubt, che trova applicazione piena nel processo statunitense fondato sulla presenza della Giuria che assume un ruolo centrale, ove il Giudice è chiamato a spiegare la struttura della formula e il corretto uso. La formula compare per la prima volta nella nota decisione In re Winship, 397 U.S. 358 (1970), ove la Corte Suprema degli Stati Uniti, il massimo organo giurisdizionale statunitense, ha stabilito che quando un minorenne è accusato di una condotta che costituirebbe reato se commessa da un maggiorenne, per potersi addivenire a una sentenza di condanna ogni elemento del fatto deve essere provato oltre ogni ragionevole dubbio. L’applicazione del principio ha portato all’assoluzione di Orenthal James Simpson (celebre ex giocatore di football americano) dall’accusa di omicidio dell’ex moglie Nicole Brown Simpson e del cameriere Ronald Lyle Goldman, avvenuto il 12 giugno 1994. Le risultanze processuali fondate prevalentemente su prove acquisite “a senso unico” dalla pubblica accusa ha consentito alla giuria di assolvere l’imputato, in quanto sussistente un “ragionevole dubbio” sulla propria responsabilità. Nel processo, il giudice ha così definito il ragionevole dubbio: «Non è un mero dubbio possibile, perché qualsiasi cosa si riferisca agli affari umani è aperta a qualche dubbio possibile o immaginario. È quella situazione che, dopo tutte le considerazioni, dopo tutti i rapporti sulle prove, lascia la mente dei giurati nella condizione in cui non possono dire di provare una convinzione incrollabile sulla verità dell’accusa» (Alan Dershowitz, Dubbi ragionevoli. Il sistema della giustizia penale e il caso O.J. Simpson) Simpson, una volta assolto dal processo penale, è stato condannato dalla Corte Civile al pagamento di una somma milionaria alle famiglie Brown e Goldman (che hanno tentato una causa di risarcimento ai suoi danni) in forza del principio del “più probabile che non” alla base della giustizia civile americana. Il controllo sulla decisione della giuria nel processo penale statunitense è un controllo “di diritto” poggiante sulle istruzioni che il Giudicante offre ai giurati circa l’esegesi della formula “ragionevole dubbio”. Quindi, negli Stati Uniti, detto principio rappresenta lo standard probatorio di un processo. Sostanzialmente diversa l’applicazione sostanziale della formula “oltre ogni ragionevole dubbio” nel processo penale italiano, che si conclude con una sentenza di un Organo Giudicante che poggia sulla esposizione coincisa di motivi di fatto e diritto su cui la decisione è fondata, con l’indicazione delle prove e delle ragioni, giusto art. 546 lett. e del CPP la formula può senz’altro esercitare l’effetto di “disarmare” quei giudici propensi a condannare con facilità e disinvoltura gli imputati, anche senza la piena prova della colpevolezza. Ma, simmetricamente, la clausola vuole anche sottolineare che, se la colpevolezza è sorretta da un solido e coerente quadro probatorio, il riconoscimento della fallibilità degli accertamenti non può certo impedirne la condanna. Esiste, tuttavia, una soglia, non determinabile con precisione, oltre la quale non sarebbe ragionevole dubitare della colpevolezza.

Foto lefotografiechehannofattolastoria.it

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 28/10/2022


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