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Attualità

Storie di quotidiana intolleranza

Pensieri, parole, opere… e opinioni

C’è una ragazza di diciott’anni affacciata sul balcone, al sesto piano di un albergo. È piena notte e il fatto che la sua compagna di stanza stia dormendo contribuisce ad amplificare un senso di solitudine che, unitamente al fatto di trovarsi a circa 2.500 km da casa, le provoca un’angoscia crescente. Fissa il vuoto, sempre più convinta di poter trovare una soluzione ai suoi problemi su quella ruvida lingua d’asfalto che l’attende 20 metri più in basso. Diciotto anni non sono un’età giusta per morire, se mai ve ne fosse una, in nessuna evenienza, e il fatto che oggi parliamo dell’ennesima vita spezzata prematuramente da problemi ritenuti troppo grandi per poter essere affrontati ci dovrebbe imporre una riflessione seria su quanto male stiamo formando la Generazione Z, che ci ha convinto di non essere mai sola grazie a una sempiterna connessione alla rete che non le impedisce tuttavia di soffrire un isolamento soffocante.
Il dramma personale di Giulia avrebbe dovuto far fermare il Paese e aprire un dibattito che, superato il voyeurismo, coinvolgesse scuole, istituzioni pubbliche, mondo politico e società civile. Ma il dramma personale di Giulia, ancora una volta, deve cedere il passo alla forma. Pur essendo nata a Milano, avendo frequentato scuole italiane, essendo un talento della pallavolo femminile grazie alla sua militanza in squadre del nord Italia e avendo addirittura vinto un campionato europeo di Pallavolo under 19 (quello disputato lo scorso anno nella nostra Siderno) con la maglia della nazionale, infatti, il nome Giulia, all’anagrafe, risulta scritto con la J, di cognome fa Ituma e la sua pelle è della pigmentazione sbagliata. È quindi gioco forza, che il vigoroso e prestante maschio italico, soggetto sciovinista e fermamente convinto che i criteri di accettazione del diverso che ci vengono imposti dalla società globalizzata nascondano un’omosessualità latente, debba rimuovere dalla noce appassita che si ritrova all’interno della scatola cranica la possibilità di esprimere un pensiero empatico nei confronti del dramma di una giovane, della sua famiglia e delle sue compagne di squadra ed esprimere il proprio machismo con un commento del genere:

Perché l’apparenza va oltre l’empatia, va oltre il dolore, va oltre la fratellanza. E la cosa che fa ancora più male è che proprio di questo tema aveva parlato un’altra pallavolista italiana, ma non considerata tale per il colore della pelle, quella Paola Egonu che aveva attirato su di se un’ondata di indignazione perché aveva osato dire, nell’ambito del Festival di Sanremo «l’Italia è un Paese razzista».
Mi piacerebbe sinceramente poter dire che lo spermatozoo sbagliato che ha sentito il bisogno fisiologico di scrivere la frase che ho riportato poco sopra sia un caso isolato, ma si tratta in verità solo del più eclatante, uno delle migliaia primati convinti che la rete sia una terra di frontiera in cui non esistono leggi e si può scrivere la prima cosa che ci passa per la testa nella certezza matematica di restare impuniti a vita. Un’intolleranza subdola che è andata oltre il razzismo propriamente detto per lanciarsi in illazioni su eventuali abusi di alcol e droghe, incapacità di “gestire il proprio uomo” o di gestire un rifiuto.
Perché, del resto, una pallavolista giovane e di successo quale altro tipo di problema potrà mai avere?
E proprio in questa intolleranza, in questa mancanza di empatia, in questi commenti facili ritengo che vadano ricercate le ragioni del gesto di Julia, proprio da questa intolleranza, da questa mancanza di empatia, da questi commenti facili dovremmo cercare di ripartire per porgere una mano ai nostri ragazzi, vittime di una guerra psicologica di trincea che sta spegnendo le speranze di un’intera generazione.
Proprio dalla tolleranza, dall’empatia, dai commenti ponderati dovremmo ripartire per costruire una società migliore, in cui Egonu possa dire con orgoglio «L’Italia era un Paese razzista» e tutti si rendano conto con serenità che migliorarci è possibile e anzi necessario.
Altrimenti, non me ne vogliate, ci meritiamo soltanto un’altra pandemia…

Foto: eurosport.it


GRF

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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