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Costume e SocietàLetteratura

L’interpretazione delle norme

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri


Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

Non si può dire che il diritto inglese sia un regime ancestrale, legato al common law, e anche all’equity, perché non appropriato. Si tratta solo di adeguare le tutele al sistema privatistico ai diritti soggettivi personali e, in Grecia, ma soprattutto a Locri, le tutele esistevano.
Per completare l’argomento è bene anche richiamare il fatto che presso i Greci non doveva esserci neppure una distinzione tra proprietà e possesso. Invero, nell’opera spesso citata attribuita a Platone nella traduzione di Vincenzo Cuoco, nel descrivere l’opera di Zaleuco così, si dice, abbia detto il grande filosofo greco: “Zeleuco ha il primo introdotto nei giudizi la distinzione del possesso dal dominio”.Ora, al di là della faticosa traduzione (non bisogna dimenticare che l’opera è stata tradotta nel 1704, seppure pubblicata nel 1842), quasi sicuramente l’osservazione nasce da una norma di Zaleuco per la quale, quando si discuteva della proprietà di un bene (in genere mobile) la detenzione dello stesso permaneva nella disponibilità dell’ultimo che aveva esercitato il dominio. Invero, per come si chiarirà successivamente, si tratta di una azione cautelare ne cives ad arma ruant. In seguito si sarebbe discusso della vera appartenenza.
E torniamo a Polibio. La premessa è conosciuta; due giovani litigano sul possesso di uno schiavo presso la propria abitazione. Uno dei due, ritenendo che il servo gli fosse stato sottratto dalla controparte, la chiama in giudizio.
Dal passo citato per altre argomentazioni (i kosmi; l’azione cautelare), si rileva che lo storico fa sempre riferimento, infatti, per descrivere la contesa, a un Arconte singolo. Il giovane che lamenta la sottrazione dello schiavo “[…] quando se ne era accorto, era venuto alla casa, lo aveva preso, e condotto al cospetto della autorità (letteralmente, al singolare: davanti al giudice), e diceva, prestando garanti, che doveva essere lui il padrone”.Ciò viene ripetuto per ben due volte. Senonché, nel corso della disputa, quando i Giudicanti sono incerti sul da farsi, Polibio sostiene che “i magistrati che presiedevano al processo, incerti su come dirimere la questione, chiamarono il cosmopolide e lo informarono”. Qui la dizione è al plurale e presupporrebbe un collegio di giudici. Così, invero, non è. Può darsi vi sia un errore di trascrizione nel tempo, cosa questa tutt’altro che impossibile. I Greci (fatta salva la scrittura micenea), non conoscevano la punteggiatura e le parole venivano scritte tutte di seguito senza neppure uno spazio tra l’una e l’altra (scriptio continua). Solo quando in Attica è stato introdotto in modo definitivo il greco/ionico, vi è stato un inizio non di punteggiatura, ma di separazioni delle parole con una barra verticale. Per il resto sono stati poi i trascrittori che hanno provveduto, e spesso anche interpretato, la scrittura.
Non diversamente dall’aramaico, che non prevede l’uso delle vocali, ma solo delle consonanti. Sono stati poi i trascrittori della Bibbiaaramaica, che hanno provveduto e spesso alterato. Basti pensare alla parola Sch, che indica sia l’uomo che la donna e che nella sua origine sta ad indicare fatto di fango. Poi, il termine è stato integrato i Isch, Uomoed Ischà, da tutti tradotto Donna, mentre sarebbe corretto tradurre con Uoma.
Ma, a prescindere dalle osservazioni superiori, tornando al processo e a Polibio, forse più semplicemente, se la questione non è stata posta dai due giovani singolarmente davanti a magistrati diversi con diverse tesi difensive, è il Collegio che si rivolge al Kosmopolide,oppure era l’insieme dei Magistrati incaricati anche per altri processi a ritenere utile sapere dei limiti della questione posta, in quanto l’azione cautelare posta in essere per la disputa dei due giovani per l’appartenenza dello schiavo di campagna era un tipo di azione molto in uso nei processi.
In definitiva è difficile pensare a un solo Magistrato che tenesse il processo in una sola giornata.
L’azione proposta imponeva un onere delle prove. Queste erano semplicemente la prova testimoniale ed eventualmente la prova scritta in caso di una singrafe (contratto) con rispettive obbligazioni. Tuttavia, come nel caso raccontato da Polibio, vi era una sorta di condizione, che oggi diremmo di procedibilità. È
Aristotele ad affermarne la necessità, quando teorizza (ma non tanto), ricavandolo da realtà politiche e processuali esistenti, l’obbligo di esibire copia della lettera della legge per come conservata da una sorta di archivista tirato a sorte tra i buleuti con il compito di prendere le copie dei decreti e delle leggi.E tuttavia, a Locri questo obbligo appare superfluo. Posta la certezza dell’esistenza di un Kosmopolide che aveva l’obbligo di tenere le leggi scritte, che potevano essere consultate da tutti e che il processo si svolgeva nel Buleterio, come nel Buleterio teneva le leggi il Kosmopolide, ne deriva che bastava spostarsi di pochi metri per consultare le leggi scritte e approvate. Non così ad Atene e nel resto della Grecia. Perché le leggi scritte sono state introdotte molto tempo dopo rispetto a Locri, e perché erano numerosi i Tribunali (soprattutto ad Atene) e non tutti ubicati nello stesso luogo.

Foto: laspada.altervista.org


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