Leggi “instruttive” e leggi punitive
La Repubblica dei Locresi di Epizephiri
Di Giuseppe Pellegrino
Non può esistere nessuna legge senza la pena. E dove la pena non è espressa, essa è arbitraria. Diversamente si tratterà di un consiglio e non di una legge vera e propria. Se poi si deve aggiungere la ratio legis, allora significa che la legge non è universalmente definibile. Dice Tertulliano: “Nessuna legge deve a sé sola la coscienza della sua giustizia, ma la postula da quelli dai quali esige il rispetto”. E seguirono questo precetto Zaleuco, Caronda e anche Platone, così da istituire leggi per popoli liberi; ed è appunto per questo che volevano valersi della persuasione. Mentre invece Seneca, considerando i suoi tempi, reputa che sia cosa stolta la legge introdotta da un proemio. La legge deve servire a comandare, non a persuadere. E Dione Crisostomo paragona la consuetudine al re, la legge al tiranno, poiché quella dà una regola a coloro che la desiderano, questa invece anche a coloro che non intenderebbero seguirla.
Negli stessi Aforismi, Tommaso Campanella nega la possibilità che l’equità possa essere un criterio di sanzione o di decisione avente natura di sentenza. Egli afferma, infatti, che “L’equità che i Greci chiamano epieikeian, non può avere posto nella legge naturale: né infatti la natura parla più universalmente di quanto la cosa lo richieda. Ma la legge di natura, non come è in sé stessa, ma come è enunciata dagli uomini in modo meno universale, può essere interpretata come epieikeian. Si comprende perché, a chi è dotato dell’uso della ragione, si deve riconoscere ciò che gli è proprio, purché non ci sia un divieto che promani da un diritto superiore.”