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Costume e SocietàLetteratura

La percezione della Locride e il falso ideologico

Le riflessioni del centro studi


Edil Merici

Di Andrea Bonato – Giudice dibattimentale presso il Tribunale di Locri

La semplificazione comunicativa delle reti sociali e, più in generale, dei mezzi d’informazione è forse la principale alleata di quel vieto luogo comune per cui Locride è sempre e solo sinonimo di terra di mafia. Negare che il fenomeno mafioso abbia inflitto a questa terra una ferita tuttora pulsante sarebbe uno sterile atto di disonestà intellettuale, ma ridurne l’essenza a questo punto debole è, a tacer d’altro, mistificatorio. Per un verso, infatti, si assiste a una realtà oramai ben più in salute di quanto si possa immaginare oltre confine, grazie non solo agli stabili risultati raggiunti da magistratura e forze dell’ordine nella lotta alla criminalità organizzata, ma anche alla quotidiana tenacia con cui la maggioranza della popolazione locale dimostra di adoperarsi per il rinnovo del territorio all’insegna della legalità e della valorizzazione delle risorse. Per altro verso, i fenomeni di criminalità ordinaria registrati nel circondario locrese in nulla differiscono da quelli che avvengono nel resto della Penisola, soprattutto nel settore degli appalti pubblici, fonte di numerose opportunità di guadagno che possono allettare professionisti estranei alle logiche della criminalità organizzata, o comunque non dediti al crimine, ma il cui appetito di guadagno è a volte tanto forte da indurli a saziarlo costi quel che costi, ossia anche a costo di commettere (spesso con pericolosa ingenuità) un fatto di penale rilevanza. Con riferimento all’appalto di opera pubblica e, nello specifico, alla sua fase esecutiva, quest’ultima coinvolge di frequente soggetti esterni alla Pubblica Amministrazione (come il direttore dei lavori e il collaudatore) in quanto dotati delle competenze tecniche di cui l’ente è al proprio interno sprovvisto, ma di cui ha necessità onde assicurarsi che la realizzazione dell’opera appaltata rispetti le condizioni contrattuali e progettuali e, per l’effetto, giustifichi l’esborso di denaro pubblico che ne deriva. L’incarico più delicato demandato a detti professionisti ha ad oggetto poteri certificativi che, se esercitati infedelmente, possono dar luogo al grave delitto di falso ideologico in atto pubblico aggravato ai sensi dell’articolo 476, comma 2 del Codice Penale, che commina la pena della reclusione da tre a dieci anni. Il rigore del trattamento sanzionatorio (cui va aggiunta, anche ove la condanna concretamente inflitta si contenga entro il minimo edittale, la limitante pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni) e l’estensione della nozione penalistica di pubblico ufficiale e di atto pubblico (molte volte sottovalutata dai professionisti che accettano gli incarichi di controllo e di asseverazione in seno ai complessi processi amministrativi propedeutici alla realizzazione di un’opera pubblica) suggeriscono una ricognizione delle principali questioni connesse alla materia della fede pubblica, intesa da giurisprudenza e dottrina come quel bene immateriale a carattere collettivo che fa capo all’intera collettività non personificata, vale a dire a tutti i cittadini e a ciascuno non uti singulus ma uti civis. In linea generale, i delitti contro la fede pubblica, creando l’apparenza di un documento genuino per mano di un soggetto qualificato, ledono l’affidamento della collettività su alcuni segni o documenti indispensabili alla speditezza del traffico economico e giuridico. Il falso che ne deriva può avere, com’è noto, carattere materiale o ideologico. Si ha falsità materiale tutte le volte in cui sussiste una divergenza tra l’autore apparente e l’autore reale del documento o quando il documento sia stato alterato dopo la sua formazione. Si ha falsità ideologica quando l’atto contiene attestazioni o dichiarazioni non vere: la falsità ideologica si distingue da quella materiale proprio perché, pur provenendo da chi ne risulta autore e non presentando alterazioni, contiene un’attestazione non veritiera effettuata al momento della compilazione. Il perimetro del bene giuridico protetto dai delitti in argomento è stato definito in maniera convincente dal Supremo Collegio a Sezioni Unite con la sentenza nº 46.982/07, che ne ha predicato il carattere cosiddetto plurioffensivo: nei delitti contro la fede pubblica deve cioè riconoscersi, oltre a un’offesa alla fiducia che la collettività ripone in determinati atti, simboli, documenti (bene oggetto di primaria tutela), anche una ulteriore e potenziale attitudine offensiva, che può rivelarsi poi concreta in presenza di determinati presupposti avuti riguardo alla reale e diretta incidenza del falso sulla sfera giuridica di un soggetto. Una simile conclusione muove dal rilievo che, in realtà, il falso non risulta quasi mai fine a sé stesso, costituendo, il più delle volte, solo il mezzo per conseguire il vero obiettivo alla base dell’immutatio veri. Se, dunque, il perseguimento di tale fine si riflette in modo incisivo sulla sfera giuridica di un soggetto, non è possibile ignorare, sul piano giuridico, tale ulteriore conseguenza e non consentire, al soggetto che quella immutatio veri ha concretamente subito, di dialogare nel procedimento con veste qualificata (ad esempio proponendo opposizione alla richiesta di archiviazione depositata dal Pubblico Ministero oppure costituendosi parte civile).

Foto: laleggepertutti.it

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 30/06/2023


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